
Il 15 marzo del 44 a.C. Giulio Cesare viene assassinato nella Curia da un gruppo di senatori romani.
Il termine cesaricidio indica l’assassinio di Gaio Giulio Cesare, avvenuto il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi di marzo), a opera di un gruppo di circa sessanta senatori i quali si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell’ordinamento repubblicani e che, per loro cultura e formazione, erano contrari a ogni forma di potere personale. Perciò, temendo che Cesare volesse farsi re di Roma(concetto impensabile per i Romani), decisero che era giunto il momento di uccidere il dittatore. Alcuni di loro furono comunque spinti a compiere questo gesto da motivi meno nobili, come il rancore, l’invidia e le delusioni per mancati riconoscimenti e compensi.
Le Idi di marzo (latino: Idus Martii) è il nome del 15 marzo nel calendario romano. Il termine idi era utilizzato per il 15º giorno dei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, e per il 13º degli altri mesi. Le idi di marzo erano un giorno festivo dedicato al dio della guerra, Marte.
Spesso il termine idi di marzo viene utilizzato per indicare la data dell’assassinio di Giulio Cesare, avvenuto il 15 marzo del 44 a.C. ad opera di Decimo Giunio Bruto, Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e altri cospiratori.
La congiura sembrava del resto facile, perché Cesare, considerandosi ormai intoccabile dopo la vittoria nella guerra civile contro Pompeo e dopo che il Senato aveva giurato di proteggerlo, aveva congedato i duemila ispanici della sua guardia personale.
I cesaricidi veri e propri non furono più d’una ventina, tutti pretori o senatori, tranne un consolare, mentre gli aderenti alla congiura e i fiancheggiatori furono in numero variabile tra una sessantina ed un’ottantina, divisi in due schiere: i repubblicani che non si rassegnavano al cambio epocale che si stava instaurando nella reggenza dello stato e i cesariani delusi dal comportamento del dittatore. Tra i repubblicani, quasi tutti furono graziati da Cesare, Ligario addirittura due volte.
Tra i cesariani, molti furono validi collaboratori e veterani delle campagne militari di Cesare, che agirono soprattutto per rancori personali in virtù delle posizioni non apicali loro assegnate nella riforma dello stato. Nella seduta senatoria del 15 marzo del 44 a.C., i congiurati pugnalarono ventitré volte Cesare, che, secondo la tradizione storiografica, morì ai piedi della statua del suo vecchio nemico, Pompeo Magno. Tra i cesaricidi si annoverano Casca (il primo a colpirlo al collo), Decimo Giunio Bruto(legato di Cesare in Gallia, ufficiale della flotta nella guerra contro i Veneti), Marco Giunio Bruto (figlio di Servilia Cepione, amante di Cesare) e Gaio Cassio Longino (che era riuscito a sopravvivere alla disfatta di Carre ed era poi divenuto uno degli ufficiali di Pompeo a Farsalo).
L’eliminazione di Cesare non servì però ad arrestare il processo ormai irreversibile della fine della Repubblica. La morte del dittatore innescò infatti una serie di eventi che portarono all’emergere di Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare. Nelle successive elezioni consolari furono eletti due nipoti di Cesare: Ottaviano e Quinto Pedio che propose la lex Pedia che condannava all’esilio tutti i Cesaricidi, che invece avevano chiamato loro stessi liberatores.
Proprio Ottaviano, dopo aver combattuto la guerra civilecontro Marco Antonio (che era stato stretto collaboratore del defunto dittatore), pose fine alla Repubblica e instaurò il Principato. Gran parte dei cesaricidi morì di morte violenta già l’anno successivo la congiura, nel 43 a.C., nelle lotte intestine che videro prevalere i cesariani sui repubblicani. Nel 30 a.C. non risultava più in vita alcun cesaricida.
Il medico Antistione fu incaricato di eseguire l’esame autoptico sul cadavere di Cesare, allo scopo di accertare la causa di morte. Detto esame era previsto dalla Lex Aquilia, la quale stabiliva non bastasse la morte del ferito per dichiarare mortale una ferita, ma dovesse essere provato dai medici che la sua morte era derivata esclusivamente da quella ferita. Dall’esame risultò che una sola delle 18 ferite era da considerarsi mortale, la seconda, per ordine temporale.
Nelle lotte di potere che seguirono la morte di Cesare, i cesaricidi perirono uno dopo l’altro, in una scia di vendette e di sangue che si concluse solo il 42 a.C., quando, nella battaglia di Filippi, Bruto e il cognato e amico Cassio furono sconfitti da Antonio e Ottaviano, che in questo frangente erano alleati. Dopo la disfatta, Bruto e Cassio si tolsero la vita. Dante Alighieri, nella sua Commedia, li inserirà nella parte più profonda dell’Inferno, la Giudecca, tra le fauci dello stesso Lucifero, assieme a Giuda Iscariota. Essi sono infatti considerati traditori dell’impero.