
Ottanta anni fa, dopo oltre vent’anni, nel terzo anno di guerra, cadeva il regime fascista.
La memorialistica e la narrazione storica sono, da sempre, focalizzate sulla seduta del Gran Consiglio del Fascismo, nella notte tra il 24 e il 25 luglo del 1943, dove venne approvato un ordine del giorno di Dino Grandi che prevedeva il passaggio del comando supremo delle forze armate da Mussolini al re Vittorio Emanuele III, tornando all’assetto dei poteri disciplinati dallo Statuto albertino.
Se ci fermiamo a questo aspetto, saremmo portati a vedere l’evento determinante per la fine del regime, come un atto interno allo stesso partito fascista, che mise in minoranza il duce.
Nel luglio del 1943 la situazione militare dell’Italia era catastrofica. Gli alleati sbarcarono in Sicilia il 10 luglio, incontrando una scarsa resistenza di molte, non tutte, divisioni italiane. Le città erano sottoposte a pesanti bombardamenti aerei anglo – americani.
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Il 19 luglio, Roma subì il primo bombardamento, sul quartiere di San Lorenzo e sul nodo ferroviario tiburtino che causò circa tremila morti; l’eco mediatico fu enorme, tutti i giornali del mondo riportarono la foto del papa Pio XII che benediceva la folla davanti alle macerie fumanti della Basilica di San Lorenzo al Verano.
Nello stesso giorno Mussolini era a Feltre per avere un incontro con Hitler, che interruppe alla notizia del bombardamento di Roma; secondo recenti ipotesi il duce in quell’incontro aveva l’intenzione di porre all’alleato la questione della pace separata per far uscire l’Italia dalla guerra, ma non ebbe il modo di trattare l’argomento, anche per il rientro anticipato nella capitale.
Il tema della pace separata, cioè lo sfilarsi dall’alleanza con i Tedeschi, dovuto dall’ esito negativo della guerra fascista e italiana, con la conseguente caduta di Mussolini, era sul tappeto negli ambienti monarchici e quindi delle forze armate fin dal novembre del 1942, dopo la sconfitta di El Alamein e l’inizio della ritirita in Nord – Africa.
La stessa principessa Maria Josè, moglie dell’erede al trono Umberto, il maresciallo d’Italia Badoglio, anche con l’appoggio della Segreteria di Stato del Vaticano, cercarono alla fne del 1942, contatti con gli anglo-americani per sondare la loro reazione nel caso di un’ uscita dell’Italia dalla guerra, prima che la stessa fosse invasa, quindi con più ampi margini di trattativa. Certo, anche questa ipotesi poggiava sulla preliminare caduta del Fascismo e l’arresto di Mussolini.
Nel giugno del 1943, anche il re Vittorio Emanuele III, ebbe deglì incontri riservati con degli esponenti politici antifascisti, in particolare con Ivanoe Bonomi, ex presidente del consiglio nel 1921, che dopo la caduta del regime e l’armistizio dell’8 settembre, sarà al vertice del Comitato di liberazione nazionale.
Torniamo alla seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943, durata ben nove ore; della stessa non abbiamo un verbale ufficiale, solo delle ricostruzioni di alcuni componenti, in primo luogo Dino Grandi e Luigi Federzoni, che negli anni cinquanta predispose un verbale postumo. L’ordine del giorno Grandi, era a conoscenza di tutti, anche di Mussolini, almeno da tre giorni, quindi nessuna sorpresa. Anzi il giorno 21 il duce fu ricevuto dal re, che gli rinnovò la sua fiducia; col senno di poi, possiamo dire solo a parole.
Finita la seduta che, di fatto, lo sfiduciò, Mussolini non ebbe nessuna reazione, non ascoltò gli oltranzisti come Scorza e Farinacci; tutti i dissedenti poterono lasciare liberi Palazzo Venezia; anzi diede mandato ai suoi collaboratoridi di chiedere un’udienza al re per lo stesso giorno alle 17, nonostante fosse domenica; di solito l’udienza si svolgeva il lunedì.
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I particolari sono importanti, perchè la monarchia e l’apparato militare si misero subito in moto, per preparare a Villa Savoia, la residenza privata del re, dopo l’udienza, l’arresto di Mussolini, con un giorno d’anticipo, rispetto ai tempi previsti.
Pietro Badoglio venne nominato presidente del consiglio, prima che il duce varcasse la soglia della residenza reale; fu una destituzione, non un’accettazione di dimissioni come poi risultò dai comunicati ufficiali.
Una domanda sorge spontanea; perchè Mussolini andò in modo passivo verso la sua fine politica? La risposta è stata data, nel 1982, in un’intervista a Nicola Caracciolo dalla figlia Edda. Il padre andava dal re a proporre di presiedere un nuovo governo, non pensava certo di essere destituito e arrestato.
L’arresto fu una scelta obbligata; non si sapeva come avrebbe reagito la struttura del partito fascista e soprattutto la milizia che a Roma aveva alcuni reparti ben armati. La storia ci dice che l’apparato fascista si sciolse come la neve al sole, ma l’attualità di quel giorno poteva essere ben diversa.
Lo storico Federico Chabod scrisse che solo il re poteva far cadere il regime fascista, perchè era l’unico potere che aveva delle forze armate da contrappore alla milizia comandata da Mussolini.
Stefano Gelati