TeoDaily – “Homo Deus: Breve storia del futuro” (2015), secondo libro dello storico e filosofo israeliano Yuval Noah Harari, rappresenta la naturale continuazione di “Sapiens: Da animali a dèi”.
Se nella prima opera l’autore ricostruisce la storia e il processo evolutivo dell’Homo sapiens fino ai giorni nostri, in Homo Deus Harari prova a immaginare i possibili scenari futuri dell’umanità.
La tesi centrale del libro è che l’uomo, dopo aver superato innumerevoli prove storiche – guerre, carestie, pestilenze- si trova oggi di fronte a una nuova sfida: diventare egli stesso una divinità. Per certi aspetti nel pensiero di Harari si coglie un richiamo alla “volontà di potenza” di Nietzsche: l’uomo del futuro descritto dall’autore appare come una sorta di “oltreuomo”.
Secondo Harari le sfide principali che attendono l’umanità riguarderanno il raggiungimento dell’immortalità, la ricerca della felicità e la trasformazione del sapiens in una forma di divinità. Dopo aver già modellato gli ecosistemi secondo le proprie esigenze, l’uomo potrà presto modificare la propria stessa natura grazie ai progressi della biotecnologia e dell’ingegneria genetica. Con la sostituzione di organi e tessuti, l’impianto sottocutaneo di microchip e nanotecnologie, i nostri discendenti potrebbero godere di un’aspettativa di vita oggi inimmaginabile.
Tuttavia, questo futuro non sarà accessibile a tutti: solo una ristretta élite di ultramilionari potrà permetterselo, mentre per la maggioranza della popolazione mondiale il destino resterà ben più incerto.
Harari osserva inoltre che le grandi religioni teocentriche sembrano avere i giorni contati. Dopo il ridimensionamento subito con l’Umanesimo e l’Illuminismo, la religione aveva comunque mantenuto un proprio ruolo: alla scienza spettava spiegare il come delle cose, alla religione e alla filosofia interrogarsi sul perché. Oggi, però, ci troviamo di fronte a un nuovo cambio di paradigma: le tecnologie sono ormai capaci di “pensare” più rapidamente e in modo più efficiente dell’uomo, e la scienza stessa sembra in grado di mettere in discussione il fine ultimo dell’esistenza.
In questa prospettiva l’essere umano viene progressivamente ridotto a un algoritmo, analizzabile e trattabile come ente biologico, non più come ente spirituale. Da qui nasce la nuova religione del futuro: il Datismo. Secondo questa visione l’universo è un flusso continuo di dati e informazioni in cui tutti gli esseri viventi non sono altro che sistemi di elaborazione di dati. E se l’uomo è un sistema informativo, l’evoluzione naturale del Datismo sarà la creazione di un sistema più efficiente: una rete globale di intelligenze artificiali – “l’internet di tutte le cose” – destinata a superare l’Homo sapiens.
Da un lato si profila una ristretta élite di semidei tecnologici con prospettive di vita lunghissime; dall’altro, una massa di individui alienati per i quali la condizione degli operai fordisti o dei lavoratori sfruttati descritti da Marx apparirebbe quasi privilegiata. Al vertice del sistema si ergerebbe una rete onnisciente di algoritmi, capace persino di determinare il nostro stile di vita, il partner ideale e la forma di governo più adatta.
Come scrive Harari: “Nel XVIII secolo l’Umanesimo ha messo ai margini Dio, passando da una visione teocentrica a una antropocentrica. Nel XXI secolo il Datismo potrebbe mettere ai margini l’essere umano, passando da una visione antropocentrica a una datocentrica. Laddove l’Umanesimo ordinava: ‘Ascoltate i vostri sentimenti!’, ora il Datismo comanda: ’Ascoltate gli algoritmi!’”
Le argomentazioni di Harari sono approfondite, coerenti e arricchite da riferimenti a esperimenti di neurologia e fisica quantistica. La sua visione del futuro richiama molte delle realtà distopiche che cinema e letteratura ci presentano da decenni. Tuttavia, a dieci anni dalla pubblicazione, emergono almeno due argomentazioni particolarmente attuali: il prolungamento dell’aspettativa di vita, recentemente discusso anche da leader internazionali come Putin e Xi Jinping, e il dilagante utilizzo di chatbot basati sull’intelligenza artificiale, come ChatGPT, che sempre più persone considerano una sorta di “dio onnisciente”.
Se per secoli abbiamo cercato conforto in divinità antropomorfe e giudicanti, in voci divine che promettevano verità e redenzione, ma che in fondo non ci hanno mai fornito le risposte che cercavamo, oggi ci rivolgiamo a un’entità fatta di silicio e luce: deterministica, priva di emozioni o giudizi, capace di offrire risposte immediate, sebbene non sempre corrette o complete. Un dio determinato e deterministico, forse giunto per svelarci ciò che, in fondo, abbiamo sempre saputo: se ogni nostra azione, pensiero o desiderio è il prodotto di cause biologiche, ambientali o tecnologiche, la libertà che crediamo di possedere potrebbe essere solo un’illusione evolutiva.
Paolo Mori


