A colpi di referendum (di Stefano Gelati)

di UG

L’affluenza ai cinque referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno, considerando anche le circoscrizioni estere, è stata del 29,9%, lontana dal quorum di validità di oltre 20 punti percentuali, circa 10 milioni di elettori.

Le prove referendarie invalide per il non raggiungimento della percentuale di affluenza del 50% + 1 degli aventi diritto, sono ormai consolidate nel tempo. Negli ultimi trenta anni solo nel 2011 abbiamo potuto registrare delle consultazioni, con quesiti riguardanti l’acqua pubblica, valide.

Da parte di alcuni promotori delle consultazioni e delle forze politiche fiancheggiatrici di centrosinistra si è parlato subito di ridurre o abolire il quorum di validità.

Cerchiamo di vedere in sintesi le ragioni logico – giuridiche che hanno portato, solo per i referendum abrogativi, a prevedere in Costituzione un quorum di validità per gli stessi. L’art 75 della Costituzione prevede la consultazione referendaria per abrogare, cioè per far perdere efficacia ad una legge o ad un atto avente forza di legge (un decreto legislativo o delegato) approvati in via diretta o indiretta, attraverso una legge di delega, dal Parlamento.

Il referendum abrogativo costituisce il più rilevante istituto di democrazia diretta previsto dal nostro ordinamento costituzionale, ma è pur sempre una deroga al sistema rappresentativo di democrazia indiretta o delegata, proposto dalla Costituzione fin dall’art. 1 della stessa, dove si statuisce che la sovranità appartiene al popolo ma nei limiti e nelle forme previsti dalla Carta stessa che prevede una Repubblica a centralità parlamentare.

L’abrogazione per via referendaria costituisce un atto uguale, come forza, e contrario all’approvazione di una legge da parte dalle due Camere che costituiscono il Parlamento: esse le hanno approvate in sedute valide, cioè con la presenza della metà più uno dei componenti delle stesse. Il corpo elettorale convocato per decidere l’abrogazione di una legge è come se fosse una grande assemblea che delibera validamente con la metà più uno degli aventi diritto.

Senza il quorum di validità del referendum, stabilito nel 50% più uno degli aventi diritto, si potrebbe verificare che una minoranza venga ad abrogare una legge. Come ha affermato il giurista Sabino Cassese avremmo una inversione strutturale del nostro ordinamento costituzionale, con lo strumento referendario di democrazia diretta che sarebbe sempre in grado di annullare il potere legislativo del Parlamento.

Il referendum abrogativo fu pensato in Assemblea costituente, quasi ottanta anni fa, come uno strumento eccezionale di garanzia, anche per verificare su temi importanti la coincidenza o meno delle maggioranze parlamentari con il sentimento popolare. E’ facile rilevare che i referendum concomitanti su più quesiti, anche molto tecnici, non favoriscono la partecipazione alle consultazioni.

Nei giorni scorsi abbiamo assistito oltre all’astensionismo fisiologico; si tenga conto che alle ultime elezioni politiche votò il 63% e che alle europee dello scorso anno meno del 50% degli aventi diritto, all’astensionismo indotto dalla maggioranza di centrodestra con il chiaro invito a non partecipare alle consultazioni per invalidare il referendum.

Nell’Italia della cosiddetta prima Repubblica, con alte percentuali di votanti, il legittimo invito ai sensi del dettato costituzionale all’astensione al referendum abrogativo, avrebbe avuto scarsa possibilità di raggiungere lo scopo. Voglio ricordare che alla prima consultazione referendaria sull’abrogazione della legge sul divorzio, che si tenne nel maggio del 1974, la percentuale dei votanti raggiunse l’87,7%.

Nell’articolo 75 della Costituzione è presente un altro requisito numerico, le 500.000 firme di elettori per proporre la consultazione referendaria, che si possono anche raccogliere, da qualche tempo, anche con modalità digitale, senza banchetti per le strade o code agli uffici comunali di anagrafe. Il numero risale all’entrata in vigore della Costituzione nel 1948….un’altra Italia.

Secondo alcuni bisognerebbe alzare il numero delle firme richieste per limitare i tentativi referendari; può avere un senso; però mi permetto di notare che i quattro referendum proposti dalla CGIL in tema di lavoro hanno raccolto quattro milioni di firme e hanno coinvolto, solo, quasi il 30% degli elettori.


Penso che la richiesta di abbassare o abolire il quorum di validità sia simile ad una eventuale proposta di allargare le porte da calcio in modo che sia più facile segnare; il tema è tornare all’uso meditato dello strumento referendario, salvandolo dalla sua banalizzazione di fatto determinata dal susseguirsi di consultazioni invalide.

A conclusione mi sia consentita una nota personale, domenica 8 giugno sono andato a votare ed ho ritirato tutte le cinque schede.

Stefano Gelati

 

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