Abbiamo appreso con sincero sconcerto che il Prof. Stefano Orlandini, nominato pochi mesi fa dal Governo Meloni come Commissario Straordinario per la Diga di Vetto, ha convocato un incontro tecnico-conoscitivo sull’avanzamento del progetto proprio in concomitanza con un appuntamento del Contratto di Fiume, stabilito da tempo e già ampiamente pubblicizzato. Una sovrapposizione che non ha nulla di casuale e che racconta molto bene il metodo scelto per gestire un’opera che riguarda un intero bacino, le sue comunità, la sua economia e il suo futuro.
Il Contratto di Fiume è uno dei pochi strumenti realmente partecipativi che possediamo: un percorso pubblico, aperto, dove Comuni, associazioni, volontari, parchi, università e consorzi costruiscono insieme analisi, obiettivi e soluzioni per la tutela e la gestione del bacino. È un luogo vivo, in cui la conoscenza scientifica si intreccia con quella dei territori, e proprio lì – dentro quel metodo – sarebbe naturale discutere del futuro dell’Enza. Non altrove. Non in una sala calata dall’alto. Non sotto la regia di un commissario nominato da Roma.
Mentre a Ciano d’Enza si parlerà di citizen science, biodiversità, monitoraggio della fauna ittica e degli anfibi, ricerca, volontariato e salute del fiume, negli stessi minuti a Reggio Emilia il Commissario illustrerà lo “stato di avanzamento” di un’opera che nessuno degli attori territoriali ha contribuito a costruire.
La parola ai territori era già stata tolta alla radice con la nomina di un Commissario Straordinario da parte del Governo. Questa nuova convocazione, fissata nel giorno stesso del Contratto di Fiume, è un gesto che parla da sé: è la fotografia di un esecutivo che considera i territori una formalità da sbrigare, non il luogo legittimo dove si decide davvero il futuro dell’acqua.
Il messaggio è implicito ma chiarissimo: Comuni, associazioni, consorzi e cittadini non sono una risorsa da coinvolgere ma un ostacolo da aggirare. Eppure la partecipazione non nasce da una convocazione last minute. Informare non è confrontarsi. Una cosa è comunicare lo stato di avanzamento di un progetto già definito; un’altra è costruire un percorso in cui si valutano alternative, si condividono priorità, si aprono scenari differenti e perfino la possibilità – sacrilegio per qualcuno – che la diga non sia necessaria, o non lo sia nelle forme immaginate vent’anni fa.
“Il governo Meloni si riempie la bocca di grandi opere che, è proprio il caso di dirlo, fanno acqua da tutte le parti – dichiara Paolo Burani, consigliere regionale di Alleanza Verdi e Sinistra e presidente della Commissione Ambiente. – Dal ponte sullo Stretto di Messina alla Diga di Vetto, l’obiettivo è movimentare immense risorse economiche per progetti faraonici che nascono dalla distruzione degli ecosistemi in cui si inseriscono, invece di valorizzarli. Sappiamo tutti come i 500 milioni recentemente preventivati per la diga sarebbero solo un antipasto.”
“L’obiettivo non può essere la diga in sé. L’obiettivo deve essere garantire l’acqua – prosegue il verde reggiano. – E sono due cose molto diverse. I fabbisogni idrici dell’Enza – agricoli, civili, industriali – sono reali, nessuno lo nega. Ma è altrettanto reale che gran parte di quei fabbisogni potrebbero essere soddisfatti con interventi prioritari già condivisi anni fa: efficientamento della rete, aumento della capacità diffusa di stoccaggio, ripascimento delle falde – che sono il vero invaso naturale – risparmio idrico e gestione sostenibile. Tutte misure che si potevano e si dovevano accelerare, non scavalcare attraverso un commissariamento.”
Il paradosso è evidente: proprio il luogo dove si sarebbe potuto discutere seriamente del futuro dell’acqua, il Contratto di Fiume Enza, è stato ignorato nel momento stesso in cui sarebbe stato più naturale coinvolgerlo. Una scelta che dice tutto: non si cerca un dibattito, si cerca una ratifica. Non si apre un percorso, si cerca una scorciatoia. Non si riconosce il valore del territorio, lo si teme.
“Ma c’è un punto che nessun commissariamento può cancellare: la forza delle comunità che lavorano ogni giorno sul fiume – conclude il consigliere. – Ricercatori, volontari, amministratori, associazioni: quella forza non si disinnesca con una convocazione parallela, non si zittisce con un aggiornamento tecnico, non si riduce a un atto dovuto. Perché il futuro dell’Enza – e dell’acqua – non si costruisce nei palazzi. Si costruisce dove il fiume scorre. E lì, volenti o nolenti, i territori continueranno a farsi sentire. Sempre.”

