È il 16 novembre 2023. A Deir al-Balah, Striscia di Gaza, sono le due del mattino. Mohammed Timraz si sveglia di colpo: un missile ha colpito una casa non lontana dalla sua. Scende in strada. Tra polvere e grida capisce presto che la casa colpita è quella in cui abita Mohammad, il suo migliore amico. Inizia a scavare con le mani tra le macerie. Trova il corpo dell’amico, morto soffocato sotto le pietre.

Oggi ha 29 anni e vive a Parma. È arrivato in Italia un mese fa con un volo militare partito dalla Giordania, passando per Creta. Nessuna valigia, solo un piccolo marsupio: passaporto, telefono, documenti, caricatore. Tutto il resto gli è stato confiscato dai militari israeliani. Ora è ricercatore all’Università di Parma, dove studia l’impatto del trauma sui bambini rifugiati. Ma la sua vera ricerca comincia a Gaza, sotto le bombe, quando capisce che l’arte può essere uno strumento per distrarre e lenire un poco il dolore dei più piccoli. Lo capisce da un confronto con Féile, architetto e illustratrice irlandese conosciuta tramite i social durante i primi mesi di bombardamenti israeliani.
Il loro messaggio quotidiano è sempre lo stesso: “Are you still alive?”. Un giorno Féile le manda un disegno fatto da sua figlia. Mohammed risponde con un disegno di sua nipotina di sette anni: un bambino senza testa. Quella scena l’ha vista davvero, un paramedico che porta in braccio un bambino decapitato a Khan Younis. Da quell’immagine terribile nasce un’idea: usare il disegno per dare voce ai bambini di Gaza.

Mohammed inizia a organizzare piccoli laboratori nella “tenda degli artisti” di Deir al-Balah. Dodici bambini all’inizio, poi decine, poi centinaia, non solo a Deir al-Balah, ma anche a Gaza City, Khan Younis e altre città. Disegnano il mare, l’inverno, la scuola, la vita che non c’è. Ma anche nei disegni più sereni i segni della guerra restano, tra i colori spunta sempre un carro armato o una casa distrutta. Da quell’esperienza nasce HeART of Gaza, un progetto artistico e umanitario fondato da Mohammed e Féile.
La prima mostra si tiene nel luglio 2024 in Irlanda. Oggi HeART of Gaza raccoglie i disegni di oltre duemila bambini tra i tre e i diciassette anni. Le opere vengono scannerizzate e inviate nel mondo per raccontare la vita quotidiana sotto assedio israeliano. Attualmente, la mostra espositiva è stata organizzata in più di 250 città, di cui 150 in Italia. C’è chi disegna com’era Gaza prima e com’è adesso, chi rappresenta Hind Rajab, la bambina crivellata da 355 proiettili insieme a sei membri della sua famiglia e due paramedici della Palestinian Red Crescent Society, in auto, da militari israeliani (secondo un’inchiesta di Al Jazeera e Forensic Architecture, l’ordine di aprire il fuoco sarebbe stato dato dal maggiore Sean Glass, comandante della compagnia “Vampire Empire” del 52º Battaglione corazzato dell’esercito israeliano. Segniamoci questo nome).

A Parma Mohammed trova un’accoglienza calorosa. “Le persone qui sono gentili, ho ricevuto messaggi da tutta Italia”, racconta. Ama il cibo italiano, tifa Milan, sogna di andare allo stadio. Mi elenca tutti i giocatori della nazionale italiana del 2006. “Mi prendo cura del mio corpo, ma non riesco a curare la mia anima. Mi sento in colpa per un cappuccino, per una brioche, per la frutta fresca. Io posso mangiare, ma la mia famiglia soffre.” A Gaza vivono ancora i suoi genitori, sei sorelle e tre fratelli. “Quando riesco a sentirli è una festa. Ma spesso non c’è elettricità, non c’è rete, non c’è modo di parlare.”

Presto Mohammed porterà HeART of Gaza anche a Parma. Non c’è ancora una data, ma che i disegni dei bambini saranno esposti anche qui è sicuramente una bellissima notizia. “Quando vedo che le persone si interessano, sento che non sono solo. Non posso fermare le bombe, ma posso far sapere che quei bambini esistono, che resistono.”
E allora, come cittadina “acquisita” di questa città e come giornalista che un anno fa arrivava a Parma con il cuore un po’ ammaccato, non posso che augurarmi che Parma accolga anche Mohammed con la stessa dolcezza e la stessa umanità con cui ha accolto me. Che lo faccia sentire parte di una comunità viva, solidale, capace di ascoltare e di curare. Perché Parma, quando vuole, sa essere davvero una casa.
Francesca Riggillo


