“La causa palestinese non chiede compassione, chiede schieramento”: il viaggio della Freedom Flotilla raccontato dall’attivista di Parma Mattia Gabella – Intervista –

di Andrea Marsiletti

“La causa palestinese non chiede compassione, chiede schieramento”, scriveva Ghassan Kanafani, scrittore, giornalista e portavoce del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, ucciso dal Mossad a Beirut, nel 1972, a soli 36 anni. A lui era intitolato il peschereccio su cui si è imbarcato Mattia Gabella, di Parma, per sfidare il blocco di Gaza. Una scelta che è già una dichiarazione politica: forzare l’assedio illegalmente imposto da Israele, rompere l’idea che il genocidio del popolo palestinese sia intoccabile.

Mattia è un militante FGC (Fronte Gioventù Comunista), da anni impegnato per la causa palestinese, che lo scorso settembre ha deciso di imbarcarsi dal porto di Otranto al fianco della Freedom Flotilla. Le imbarcazioni sono dieci: due dall’Adriatico, otto da Catania. In totale circa 250 persone.

“Da Otranto siamo salpati con due imbarcazioni, una piccola e una molto grande, un traghetto di 110 metri con più di cento persone a bordo, molti turchi. Era una missione internazionale. C’erano medici e giornalisti: una scelta precisa, sono le categorie che Israele ha colpito in modo più sistematico. Più di 1.600 medici e oltre 300 giornalisti uccisi” racconta l’attivista. A bordo anche generi di prima necessità, cibo e medicine.

L’incontro con le altre imbarcazioni è previsto a est di Creta, ma in acque greche li travolge una tempesta. “Siamo stati costretti, noi e un’altra barca, a rientrare al porto più vicino (due porti greci differenti). Appena entrati siamo stati abbordati dalla guardia costiera greca, ci hanno perquisito e controllato i documenti. Poi hanno fatto scendere una parte dell’equipaggio con un pretesto tecnico, ovvero piccoli danni alla barca. Da lì è scattato il fermo amministrativo e l’obbligo di dimora a bordo al capitano”.

La barca e parte dell’equipaggio vengono trattenuti per venti giorni e Mattia rientra in Italia, a sue spese. E’ l’11 ottobre 2025.

Emergono dettagli pesanti. Racconta Mattia Gabella: “La polizia greca aveva le liste complete dei membri dell’equipaggio, fornite da noi solamente all’Italia. Siamo stati trattenuti in caserma e non abbiamo ricevuto nessun supporto consolare. La decisione del governo greco di fermare l’imbarcazione è stata politica ed è andata nella stessa direzione di quella del governo italiano. Un governo che non ci ha protetti. Ha mandato la fregata Alpino non per difendere gli equipaggi, ma per convincerci a tornare indietro. Da una parte ci accusavano di mettere a rischio i piani di pace, dall’altra continuavano a vendere armi a Israele. Ci dicevano di mandare gli aiuti da Cipro. Ma se in due anni lo Stato aveva davvero i mezzi per consegnarli, perché non lo ha fatto mentre Israele portava avanti il genocidio?”.

L’obiettivo della missione, spiega, era chiaro sin dall’inizio. “I generi alimentari a bordo non erano in gran quantità. L’obiettivo parallelo era politico: forzare il blocco israeliano, mettere in discussione il controllo totale degli accessi a Gaza, aprire canali umanitari permanenti. Questa è una delle condizioni per fermare il genocidio.”

Alla fine nessuna imbarcazione arriva a Gaza, ma mentre queste vengono fermate, in Italia le piazze esplodono.

“Sessanta barche nelle due Flotille. Nessuna è passata. Ma il blocco è stato comunque sfidato. La dinamica della Flotilla è stata ripresa nelle piazze italiane dai lavoratori organizzati, dai sindacati, dai portuali. Ha contribuito a portare in piazza milioni di persone con una consapevolezza chiarissima sulle responsabilità politiche del genocidio, incluse quelle del governo italiano. Il blocco è militare, politico, economico e mediatico. Proprio per questo va rotto ovunque. In mare, nei porti, nelle scuole, nei luoghi di lavoro.

Oggi si combatte anche nella manovra finanziaria: briciole a sanità e scuola, spesa militare al 5% del Pil per riempire di soldi chi vende armi a Israele. La responsabilità politica è sempre la stessa.”

Francesca Riggillo


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