
TeoDaily – Mi fa piacere (e responsabilizza) accompagnare i lettori di TeoDaily in un percorso di avvicinamento alla Pasqua analizzando i testi della passione di Gesù. Con l’accortezza, però, di approcciare i Vangeli uno alla volta, distintamente uno dall’altro, non come un unico e confuso volume come purtroppo siamo soliti fare.
Se si leggono i Vangeli canonici in ordine cronologico, partendo dal più vicino ai fatti, quello di Marco (scritto nel 70 dc), per arrivare a quello più lontano di Giovanni (90/100 dc), passando per Matteo e Luca, emerge chiaramente che le prime comunità cristiane che li hanno scritti hanno operato una progressiva riduzione dell’importanza della figura dell’uomo Gesù di Nazareth e una crescita di quella di Cristo il Messia.
Il Gesù dei primi due Vangeli (Marco e Matteo) raccontano di un uomo che non voleva morire. In Luca questa posizione si attenua, per poi ribaltarsi completamente nel quarto Vangelo di Giovanni dove Gesù esce di scena e il suo posto lo prende Cristo che voleva morire per portare a compimento la missione che gli ha assegnato il Padre.
Abbiamo già evidenziato questa progressiva “cristianizzazione” di Gesù in riferimento all’arresto del Signore nell’Orto degli Ulivi (leggi).
La stessa escalation cristologica è evidentissima nelle successive scene dalla passione, ovvero nei due interrogatori a cui è sottoposto Gesù dal Sommo Sacerdote e da Pilato e nella morte in croce.
Davanti al Sinedrio e al governatore romano in Marco (14) e Matteo (26) Gesù emerge come un uomo sconfitto che non parla (“Il sommo sacerdote interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. Ma egli taceva e non rispondeva nulla.” “Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: “Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!”. Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.”). Sulla croce in Marco 15 e Matteo 27 “Gesù gridò a gran voce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Gesù, dando un forte grido, spirò.” Gesù muore da solo dichiarandosi abbandonato dal Padre ed emettendo un grido disperato.
Nel 3° Vangelo di Luca (22-23) la scena cambia, Gesù è più loquace davanti al Sinedrio e a Pilato, muore crocifisso in mezzo ai due ladroni parlando con uno di loro di paradiso (“In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso“). In croce Gesù si rivolge al Padre non per urlare il suo abbandono, ma per affidarsi a lui “(Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò”). In Luca non c’è nessun grido di morte.
Nel 4° Vangelo di Giovanni c’è solo Cristo, Gesù è marginale.
Davanti al Sinedrio e a Pilato (Giovanni 18) Cristo non tace, anzi ribatte al Sommo Sacerdote al punto che questi gli dà uno schiaffo dicendo “Così rispondi al sommo sacerdote?“. Il colloquio con Pilato è ad altissimo tasso teologico (“Il mio Regno non è di questo mondo“) e Pilato, affascinato dal Signore, arriva fin a porgli la domanda filosofica “Cos’è la verità?“.
In Giovanni Cristo non muore da solo (“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala“), dice a Maria Vergine e al “discepolo che egli amava” “Donna, ecco tuo figlio!” e “Ecco tua madre!“. In croce il Messia non si rivolge al Padre gridando di essere stato abbandonato ma che “Tutto è compiuto!“, che ha portato a compimento la sua missione. Non muore gridando (“E, chinato il capo, consegnò lo spirito“).
L’evangelista non usa i termini “morire” o “spirare”.
In croce consegna il suo spirito al Padre, ritorna in Dio.
Appeso in croce è già in trionfo come il Salvatore dell’umanità.