“Legion”

SMA MODENA
lodi1

12/03/2010

Gli angeli – in lotta tra loro o con i demoni – sono stati protagonisti di diversi horror in un passato più o meno recente. L’australiano Gabriel – La furia degli angeli di Shane Abbess è tra questi, ma l’esempio forse più popolare è quello di L’ultima profezia con Christopher Walken nei panni di Gabriele, primo di una piccola franchise (i seguiti sono ben quattro, al momento). Legion riprende questi temi e – con qualche suggestione da Terminator e, soprattutto per l’estetica, da Matrix – li sviluppa cercando di inserire qualche spunto originale in una storia piuttosto semplice.
Los Angeles, 23 dicembre. Dio si è stancato delle malefatte umane e ha sguinzagliato sulla Terra una legione di angeli per portare l’Apocalisse. L’arcangelo Michael, però, non è d’accordo e vuole salvare l’umanità.
In uno scalcinato locale ai margini del deserto, il Paradise Falls, un gruppo di persone vive i suoi problemi: Jeep si preoccupa di Charlie, la cameriera single incinta di otto mesi; Bob, papà di Jeep, si preoccupa di tirare avanti il locale, aiutato dal cuoco filosofo Percy; in attesa che Jeep aggiusti la loro auto, Howard tiene a bada la moglie Sandra, preoccupata per l’alto grado di disinibizione della figlia Audrey; Kyle ha problemi familiari che cerca inutilmente di risolvere al telefono. Tutto sembra decadente, tutti sono preoccupati per qualcosa, ma senza alcuna spinta positiva.
Improvvisamente, radio, tv e telefoni smettono di funzionare. Nel locale entra Gladys, una vecchietta dapprima arzilla e gentile e poi molto, ma molto meno. Azzannato al collo il povero Howard, avverte tutti che stanno per morire. Una nube di insetti compare all’orizzonte, poi arriva Michael ad affrontare con gli uomini la prova finale.
Simpatico l’uso di una vecchietta, di un bizzarro gelataio e di un angelico bambino in modo più o meno anticonvenzionale. Interessante l’aria desolata e disillusa, da vecchio noir on the border, della location decisiva per le sorti dell’umanità. Azzeccato anche il tono apocalittico e misterioso del primo terzo di film, più cupo che magniloquente, come invece accaduto in altri esempi del filone.
Poi cominciano le concessioni a un confronto “filosofico-religioso” piuttosto “facile”, un bignamino di dottrina ritenuto forse necessario per gli spettatori che non si accontentano dell’implicito. In questa fase centrale, il film perde la sua presa sulla storia che racconta e si sfilaccia in psicologismi di maniera.
La parte finale ritrova una certa vivacità, ma è condizionata dall’uso di un’iconografia fin troppo classica nella rappresentazione degli angeli in lotta e da una totale resa alle regole del melodramma. Tra botte da orbi e spari all’impazzata si perde un po’ il senso dello scontro etico, ma probabilmente non era quest’ultimo lo scopo del film.
Qualche dialogo è efficace: quando uno sconcertato Bob dice a Michael di non credere in Dio, Michael, di rimando, gli risponde che è normale, neanche Dio crede più in lui. E questo è quanto: Dio non crede più nell’umanità e, dopo il diluvio, ora usa modi più spicci e violenti, da film horror appunto: gli umani posseduti dagli angeli distruttori sono come zombie e assediano il solitario locale nel deserto. Michael è armatissimo e agisce come un Rambo ultraterreno (la cosa è sottolineata ironicamente): combatte per gli uomini disobbedendo a Dio perché non ha perso fiducia in loro. Beato lui.
La nascita di un figlio come (ri)nascita della speranza per l’umanità richiama La settima profezia, che, pur senza brillare, costituiva un approccio un po’ più problematico all’Apocalisse. Dennis Quaid dà sofferto spessore al ritratto di un fallito che cerca un riscatto alla propria rassegnazione. Alla tv del suo locale danno La vita è meravigliosa: altri angeli, altri film.


(Si ringrazia Mymovies.it per la collaborazione)
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