Luigi Alfieri risponde a Pizzarotti: “E’ ora di finirla con questa storia vergognosa del debito del Comune di Parma. Si può tornare a fare politica in modo serio?”

SMA MODENA
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Luigi Alfieri

Caro Direttore,

vedo che, col tuo consueto fiuto giornalistico, il più acuito di quanti scrivono di politica a Parma, hai notato il singolare post di Federico Pizzarotti sul suo profilo FB, in tema di debito del comune di Parma accumulato dalla Giunta Vignali e gli hai dato grande risalto. “Il titolo è FDI e Lega vogliono candidare Vignali. Ricordo loro il debito di quasi un miliardo di euro e la lettera di La Guardia”.

Hai ragione a dare spazio, perché questo post è il vero inizio della campagna elettorale.

Premesso che non sono mai stato tra i giornalisti trombettieri di Vignali, presenti in gran numero nella nostra città e poi passati tra i detrattori, ti scrivo come candidato sindaco alle elezioni comunali passate.

Lo faccio perché sul tema del debito da un miliardo e sul forno inceneritore, che avrebbe dovuto chiudere e invece ha ampliato, Pizzarotti ha costruito la sua carriera politica e inquinato le campagne elettorali. Non entro nei risvolti processuali, non mi interessa quel che scrive l’ex procuratore Gerardo La Guardia, che si è candidato con il centrosinistra in tempi non sospetti, cioè non durante, ma dopo l’inchiesta sulla Giunta. Non sono tra quelli che pensano che i magistrati non debbano fare politica, fuori dall’esercizio delle loro facoltà. Magari potrebbero farla fuori dal territorio in cui hanno operato. Non formulo giudizi sulla sua inchiesta i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non mi interessa sapere se Vignali è una vittima o un carnefice.

Mi interessa la bugia sul debito. Non voglio che inquini un’altra campagna elettorale.

Gino Capelli, assessore al bilancio abilissimo, di Pizzarotti e non di Vignali, e commercialista di vaglia scriveva in documenti pubblici presentati in consiglio comunale: “appaiono completamente infondate e fuori luogo le voci in ordine al dissesto del Comune di Parma”.

Il bilancio è un’opinione. I numeri si possono tirare per la giacchetta come ci pare e piace. Pizzarotti e i suoi si dipingono come i più grandi risanatori di sempre. Hanno portato il colossale debito di Parma del 2011 a ridursi del 60 per cento. Dicono. Il fatto è che tutto è relativo. E il debito del nostro Comune nel 2011 non era poi straordinario. Prendiamo una tabella del quotidiano Il Sole 24 ore e vediamo che in quell’anno il debito pro capite di un parmigiano era di 917,3 euro. Ogni torinese aveva un debito di 3519 euro. Un milanese 3036 euro. C’erano, nel 2011, cinquanta capoluoghi di provincia che stavano peggio di Parma come indebitamento pro capite. Nel 2015, secondo la CGIA di Mestre, associazione della piccola impresa celebre per l’accuratezza dei suoi studi, il debito pro capite di Torino era 3419 euro, quello di Milano 2967, Parma 679. Numeri che potremmo definire tranquillizzanti. E allora? E allora questi numeri non giustificano le affermazioni del sindaco. In proporzione, a Milano e Torino avrebbero dovuto sospendere l’erogazione di tutti i servizi, che, invece, hanno continuato ad essere distribuiti imperterriti.

Ma la spiegazione c’è: nella nostra città erano superindebitate le società partecipate, non il comune. Da Stt a Parma infrastrutture. Queste avevano un debito di circa 608 milioni di euro. A fronte di questo debito però – ha scritto nella sua nota a commento della relazione commissariale l’assessore al bilancio di Pizzarotti di allora Gino Capelli – stava un patrimonio di 720 milioni: con un patrimonio netto (attivo meno debito) di 112 milioni di euro. Situazione grave, ma rimediale, e, infatti, rimediata.

Da notare che le tasse (ai massimi) pagate dai cittadini di Parma non sono destinate fare scendere il debito delle partecipate, ma, come in ogni comune, per finanziare la spesa corrente e per far fronte, non al grande debito delle partecipate, ma al debito, come abbiamo visto confrontando i nostri dati con quelli di altre città, tollerabile, del Comune, i cui conti erano in regola.

Tra parentesi il comune pagava per gli interessi passivi un tasso medio molto basso: 1,55 per cento nel 2015.

Per pagare il debito delle partecipate è stata fatta fallire la Spip (e sono spariti 100 milioni di rosso), è stata venduta la Stu Pasubio (via altri 55 milioni), sono stati venduti immobili di Stu Stazione (altri 100 milioni e passa) ed è stata alienata una larga fetta di azioni Iren, che poi hanno triplicato il loro valore. Quindi, nessun miracolo, ma un uso corretto del patrimonio e degli istituti giuridici. Leggi procedure concorsuali e fallimento. Cosa che qualsiasi amministratore non sprovveduto avrebbe fatto. L’avrebbe potuta fare anche Vignali, se fosse rimasto al potere. Con grande facilità.

Non sarà ora di finirla con questa storia vergognosa. Possiamo tornare a fare politica in modo serio?

Pizzarotti, come te, ha un grande fiuto politico, sa che Vignali potrebbe battere Guerra, se vuole fare la guerra (m minuscolo) a Vignali, gli argomenti non gli mancano. Usi quelli corretti. Si preoccupi, piuttosto, di valutare se Guerra è capace di farsi la campagna da solo o se ha bisogno di un baby sitter.

Grazie per l’ospitalità,

Luigi Alfieri