
“Il Pd è fallito”. Ne è convinto Federico Pizzarotti, primo cittadino di Parma ex Movimento 5 stelle e oggi tra i principali animatori del progetto politico Italia in comune. E crede che occorra procedere a un reset globale, non rifondandolo ma partendo da un nuovo progetto. Con il quale si dice disponibile a dialogare. E’ questo il contenuto dell’intervista a Pizzarotti pubblicata dall’Huffpost.
Sindaco, il Partito democratico esce piuttosto stropicciato da questa tornata amministrativa.
“Come tante volte spiego parlando ai militanti di quel partito, il Pd è morto, e se si rendono conto di questo non possono che averne un beneficio. Poi leggo le tante analisi dei suoi dirigenti. E Carlo Calenda, in questo caso, mi è sembrato più lucido di Maurizio Martina. Bisogna cambiare tutto, anche il nome, perché di persone valide ce ne sono tante, ma il progetto politico è naufragato. Non capisco cosa ci sia da rifondare, come sostiene il segretario reggente. Bisogna ripartire da zero”.
Da dove?
“Occorre una nuova classe dirigente, che sia adeguata allo spirito del tempo. Una classe dirigente antipopulista, che sia capace di rispondere alle foto di Matteo Salvini che ironizza sui barconi dei clandestini riportando al centro dell’agenda pubblica i temi. Serve la concretezza di un’organizzazione che non dia più quella percezione, largamente diffusa nell’opinione pubblica, di essere interessata solo alla spartizione del potere. Altrimenti si galleggia e si sopravvive. E bisogna che ridiano unità a quell’area politica: in tanti comuni il centrosinistra ha perso perché era diviso. Se sei lacerato all’interno poi all’esterno non hai più efficacia”.
Qual è la responsabilità di Matteo Renzi in tutto questo?
“Sicuramente è uno dei responsabili di questo fallimento. Non tanto per come ha comunicato quel che faceva, ma per come ha condotto il partito, creando divisioni, cerchi magici, un solco tra renziani e antirenziani. Una gestione spregiudicata per la quale non appena il leader ha perso quota abbiamo visto la fine che ha fatto. Anche se mantiene una posizione predominante, e ne condiziona ancora le scelte”.
In molti invocano al più presto il Congresso.
“Non so quanto possa essere risolutivo. Calenda invoca la rifondazione, non salverebbe nemmeno il nome, Nicola Zingaretti è molto più morbido. Il punto è che rischia di replicare quel che vedo nelle dinamiche locali: quando si discute chi ha la peggio o esce sbattendo la porta o inizia a lavorare contro. Bisogna partire da un nuovo progetto”.
Il Movimento 5 stelle invece rivendica i successi di Imola e Avellino.
“Vedo molto orgoglio. Hanno vinto i ballottaggi nei luoghi dove è prevalsa la voglia di cambiamento, a prescindere da quale fosse l’alternativa. Ma andrebbero analizzati i casi in cui i loro sindaci uscenti non si sono ripresentati, e hanno perso. Penso a Ragusa o a Mira. Il punto è che il modello locale tende ad essere autoreferenziale, a non coinvolgere le forze positive che si trovano nei vari contesti in cui operano”.
Con il movimento di cui fa parte, Italia in comune, cercherete un’interlocuzione con il Pd?
“Noi abbiamo un nostro percorso autonomo, una nostra identità e una nostra linea. Possiamo ragionare sui singoli casi, ma non siamo la stampella di nessuno, siamo un soggetto che vuole dialogare”.
Con chi?
“Sicuramente non con i 5 stelle, che sono assurdamente nella fase in cui si alleano a livello nazionale e mantengono un ferreo isolamento nei comuni e nelle regioni. I nostri interlocutori vanno da Sel, passando per il Pd e arrivando all’area centrista e liberale rappresentata da Forza Italia. Sicuramente non la Lega. Poi ci siamo dati il metodo che sono le singole autonomie territoriali a decidere caso per caso”.
Però è innegabile che la vicenda di Parma, e tutto quel che ne è conseguito, ha dato un respiro alla sua figura che travalica quella di Parma. Insomma, si guarda a lei come un possibile riferimento generale.
“A Parma noi abbiamo sempre lavorato per la nostra città, e sono state solo le dinamiche con il M5s a farci assurgere alle cronache nazionali. Un errore degli altri partiti, la Lega e il Pd, oltre al Movimento, è stata la forte personalizzazione sul leader di turno. Non voglio fare questo errore con Italia in comune perché non credo alla logica dell’uomo solo al comando. Sono solo una parte di un gruppo che vuole lavorare insieme”.
Sì ma quali progetti ha per il futuro? Quali sono i prossimi obiettivi?
“Voglio finire il mio mandato, per cui non mi candiderò a regionali o europee che arrivano un anno prima. La coerenza è importante. Come partito ci stiamo tuttavia muovendo su entrambi i fronti. Alle regionali avremo la nostra lista e i nostri candidati. Per le europee stiamo ragionando con Diem25, il progetto di Varoufakis”.
Insomma, mette nel mirino il Parlamento?
“Non lo so, le la legislatura dura fino al 2023 c’è tempo per dirlo, chissà cosa potrebbe succedere. Se si interrompesse prima, magari nel 2021, ci si potrebbe ragionare”.