† Da Francesco a Leone: è cambiata la forma, essenziale nella Chiesa (di Stefano Gelati)

SMA MODENA

TeoDaily – Sono trascorsi due mesi dall’elezione di Robert Francis Prevost a papa, assumendo il nome di Leone XIV.

Da quando con Giovanni Paolo II, il 16 ottobre del 1978, i pontefici eletti non si sono limitati alla sola benedizione Urbi et Orbi (a Roma e al mondo) dopo l’annuncio dell’elezione, molti sostengono che il carattere di un pontificato lo si coglie proprio da quel primo contatto con il popolo.

L’importanza di questo inizio pubblico è stata colta e studiata da papa Leone, tanto che ha letto un discorso di qualche minuto che è iniziato con la parola “pace”.

Egli si è presentato in abito corale con la mozzetta (mantella) rossa, ritornando in questo alla tradizione, interrotta da papa Francesco che, dalla sua prima benedizione e per tutto il pontificato, non ha mai indossato questo simbolo, di potere, limitandosi, anche nelle occasioni più solenni, ad indossare la veste talare bianca.

 

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Si potrebbe sostenere che questi sono particolari poco rilevanti, solo formali.

La forma nella vita pubblica è essenziale, tanto più al vertice della Chiesa Cattolica che ne è depositario da secoli.

Leone XIV ha continuato nella ripresa della “forma”, interrotta da papa Francesco; infatti andrà ad abitare nell’appartamento pontificio del palazzo apostolico e ha ripreso la consuetudine delle vacanza nella residenza estiva di Castel Gandolfo.

Il canone 331 del codice di diritto canonico stabilisce che:” Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente”.

Dal dettato della norma canonica emerge che la forma di governo della Chiesa Cattolica è quella di una monarchia elettiva, assoluta, senza vincoli, immediata, cioè senza bisogno della collaborazione di altri soggetti per l’esercizio della potestà ordinaria. Questa situazione giuridica e pastorale ha come chiara conseguenza che le decisioni e lo stile, del Romano Pontefice, vengano percepiti come elementi caratterizzanti la Chiesa stessa.

 

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Papa Francesco è stato considerato un avversario nel mondo politico conservatore e nazionalista ed anche da settori tradizionalisti all’interno della Chiesa. Penso che non sia bastato un coro di cordoglio esibito e ipocrita a far dimenticare certe affermazioni pubbliche di alto livello politico giunte ad offendere il papa, a cominciare dal presidente della sua Argentina.

Per quanto riguarda il dissenso dentro la Chiesa il pontificato di Bergoglio ha vissuto per circa dieci anni su dodici una particolarità storica: la presenza in Vaticano del suo predecessore. Il papa emerito da vari ambienti tradizionalisti è stato strumentalizzato come continuo termine di confronto contro papa Francesco; ciò è avvenuto nonostante l’atteggiamento corretto e riservato di Benedetto XVI, che ha affrontato una situazione nuova e particolare di due papi viventi, dei quali solo uno regnante, con equilibrio.

Leone XIV ha subito affrontato i temi etici (es. famiglia, omossessualità) in continuità con la tradizione della Chiesa ed anche con il suo predecessore.

Su questi temi Francesco in conversazioni giornalistiche, diede l’impressione di prospettare delle novità, ma nessun documento pastorale ha dato seguito a tale sensazione.

Leone e Francesco, nei contenuti sono andati in continuità, hanno detto in modo ufficiale le stesse cose; è cambiato lo stile, la forma direbbero altri. Nella comunicazione e nella percezione che ne deriva, non è poco!

La prima parola del nuovo pontificato è stata: “pace”; era scontato, visti i focolai di guerra presenti nel mondo. Papa Bergoglio parlava di “terza guerra mondiale a pezzi”. Il magistero della Chiesa nel secolo scorso ci ha dato vari esempi di azioni dei papi per la pace. Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, Benedetto XV definì la stessa una “inutile strage”. Pio XII, all’inizio del secondo conflitto mondiale in un radiomessaggio natalizio del 1939 affermò: “Nulla è perduto con la pace!Tutto può esserlo con la guerra.”

La continuità nei contenuti si è vista anche nella puntuale denuncia delle sofferenze della popolazione palestinese della striscia di Gaza, un argomento delicato per i rapporti tra Israele e la Santa Sede, tanto che ai funerali di papa Francesco lo Stato ebraico si limitò ad essere rappresentato dal solo ambasciatore, il minimo in tali occasioni tra due Stati che hanno normali relazioni diplomatiche.

Possiamo affermare che Leone è un continuatore di Francesco? Si, nella sostanza, non nella forma e nello stile.

Stefano Gelati