
In un presente dominato da macchine che aiutano gli esseri umani ad essere più veloci, più forti, più precisi, una più di ogni altra incarna la perfezione. E’ l’inizio di «Ok Robot», produzione del Teatro delle Briciole, diretta da Beatrice Baruffini e rivolta ad adulti e bambini dai 7 anni, che va in scena a Parma sabato 11 marzo alle 21 in forma di studio nell’ambito della rassegna «Weekend al Parco» (dopo alcune repliche per le scuole), poi in anteprima il 1° aprile al Teatro Sociale di Bergamo nell’ambito del festival Domina Domna. Lo spettacolo è interpretato da Simone Evangelisti e Agnese Scotti, musiche e ambienti sonori di Dario Andreoli, disegno luci di Emiliano Curà, assistente alla regia Virginia Canali. Dopo «Era ieri», che ripercorreva il passato remoto dei dinosauri, «Ok robot» è il secondo capitolo della «Trilogia disumana» e racconta il presente digitale e robotizzato sviluppando una riflessione sul rapporto tra uomo e computer, tra la mente del robot e la versatilità del cervello umano. La macchina perfetta del presente evocato dallo spettacolo ha aspetto umano, è dotata di un cervello “positronico” di ultima generazione, è il più evoluto della sua categoria. Tutto sembra scorrere perfettamente, ma non è così, le macchine difettose vengono fatte allontanare, ed esiste un posto dove le cose che non funzionano più vengono buttate. Un limbo, un purgatorio, un non luogo dei difettosi. Ed è proprio lì che due Ok Robot si incontrano, dopo essere stati allontanati, senza sapere perché, dal mondo perfetto che altrove continua ad andare avanti.
«I robot somigliano all’uomo più di ogni altra creatura o cosa esistente», spiega Beatrice Baruffini, «ma al tempo stesso sono proprio i robot che incarnano la disumanizzazione nella sua forma più estrema. Proprio per questo stretto legame tra uomo e macchina, scegliere di raccontare una storia senza l’uomo ha permesso di concentrarsi ancora di più sul robot in quanto tale, sulle sue caratteristiche. Creare storie “anti-antropocentriche” è infatti il presupposto della «Trilogia disumana», proprio perché solo allontanandoci da quello che siamo, possiamo tornare a stupirci ancora di noi. Abbiamo lasciato ai due robot protagonisti la responsabilità di farci intravvedere la nostra unicità, attraverso le loro parole e il loro essere macchine. Questa assenza dell’uomo dovrebbe, ci auguriamo, farci provare una grande nostalgia di quel che c’è in noi di irripetibile. Perché è proprio questo il momento in cui i robot stanno per essere definitivamente accolti nella nostra società, dobbiamo chiederci chi sono e per farlo dobbiamo prima capire chi siamo noi».