“Io non ho posto” in prima assoluta al Verdi Off . INTERVISTA ad Andreina Garella

SMA MODENA
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foto di Stefano Vaja

Una riflessione sulle parole straniero, migrante, rifugiato, razzismo, distanza, transizione, cambiamento, rinascita, passaggio, libertà, giustizia, ricercando nel loro significato forme reali di convivenza e dialogo per dare ascolto alle voci e alle storie che ognuno porta con sé, per intercettare i cambiamenti in atto e proporre uno sguardo diverso sull’altro.

È questo “Io non ho posto”, lo spettacolo ideato da Andreina Garella e Mario Fontanini di Festina Lente per Verdi Off che quest’anno trae ispirazione da Azucena la gitana migrante del Trovatore di Giuseppe Verdi.

Abbiamo parlato di questo spettacolo, della sua genesi e del lavoro che Festina Lente Teatro da anni porta avanti con Vagamonde l’associazione di donne migranti di tutto il mondo, con Andreina Garella, regista e fondatrice, insieme a Mario Fontanini, di Festina Lente Teatro, nel 1997.

La questione degli stranieri e dei migranti, in particolare delle donne, è stata a lungo sotto la vostra lente d’ingrandimento perché?

Mi piace parlare di nuovi cittadini non di stranieri, perché credo ci sia anche bisogno di nuovi termini. In questo caso nuove cittadine. Dal 2003 collaboriamo con Vagamonde, con loro abbiamo realizzato progetti teatrali perché il teatro è diventato mezzo per dare voce a persone che solitamente sono ai margini della nostra società. All’epoca c’erano problematiche diverse come per esempio la discriminazione, il lavoro di cura riservato solo alle donne. Era il periodo delle badanti. Poi è arrivata la Bossi Fini che è stata la madre di tutte le contraddizioni, una legge che ha creato enormi difficoltà per i nuovi arrivati.

Che esperienza è stata?

Per Festina Lente è stato molto interessante perché ha avuto a che fare con “non attori”, con persone vere che imparano a fare finta, che parlano di sé stesse a nome di tutte per cui il linguaggio e il pensiero diventano universali. C’era la necessità di parlare di alcuni temi e ogni anno proponevamo una produzione nuova. Il teatro era un appuntamento per la città, per andare contro stereotipi e luoghi comuni, senza dimenticare la qualità dello spettacolo che si portava in scena. L’incontro con Vagamonde è stato veramente una meraviglia e va avanti da allora. Abbiamo utilizzato tutti gli spazi della città possibili: gli esterni, i bar, i teatri, le fermate degli autobus, le chiese sconsacrate. Ogni anno portando qualcosa di più e di nuovo. La società spesso è spaventata dal cambiamento, ma senza il cambiamento non c’è evoluzione.

E oggi?

C’è stato un momento in cui speravano di poter parlare in modo diverso del tema della migrazione. Abbiamo realizzato un progetto intitolato “La città di Antigone” che ha coinvolto anche donne di Parma, migranti e native, che in qualche modo e con grande coraggio hanno lasciato il segno, perché hanno cambiato le cose, anche andando contro la legge. È stata una bellissima esperienza, fortissima, durata un anno, con interviste alle donne che sono riuscite a costruire qualcosa di nuovo. Purtroppo le cose stanno peggiorando e abbiamo dovuto affrontare nuovamente di petto questo tema. In tutti questi anni abbiamo parlato di viaggi, disperazione, razzismo, violenza, ma anche di bellezza, cambiamento, contaminazione, crescita, rinascita. Perché vogliamo uscire dal pensiero comune sui migranti relegati in un immaginario di sofferenza e uscire da questa logica per raccontare cosa succede quando le persone arrivano nel “posto nuovo”.

Questo incontro col teatro che cosa produce? Chi più del teatro può raccontarlo? Poi c’è stato l’incontro con il Teatro Regio e il Verdi Off.

Negli ultimi tre anni abbiamo realizzato tre progetti attorno a tre eroine verdiane che ci hanno dato lo spunto per parlare della contemporaneità. La prima è stata Aida, la schiava eritrea che ci ha permesso di mettere le nostre donne, l’anno scorso con il Nabucco abbiamo affrontato il tema degli esuli ebrei, ma sempre dal punto di vista della rinascita. Quest’anno Azucena, la zingara migrante del Trovatore. Per noi sono agganci per parlare del nostro mondo perché il teatro è lo specchio della società, racconta la contemporaneità è un luogo speciale per dire cose importanti e urgenti, senza esprimere delle verità che non è il nostro compito, ma lanciare riflessioni, spunti, emozioni. Ci sono donne che sulla loro pelle hanno vissuto delle grandi ferite e che sono capaci di raccontarle andando oltre, pensando al domani, perché hanno diritto anche loro di cercare la bellezza, non solo noi. Purtroppo, come diceva Brecht, c’è una parte del mondo che ha il passaporto buono e un’altra che ha il passaporto che non vale nulla. Crediamo che tutti abbiano diritto a un posto e qui arrivano talenti enormi, ma purtroppo spesso vengono relegati; le donne ai lavori di cura e gli uomini ai lavori più umili. Tanti fanno scelte di fatica enorme, studiano fanno le scuole serali per riuscire a realizzarsi qui, trovarsi un lavoro e una vita dignitosa.

Di qui nasce l’idea di “Io non ho posto” lo spettacolo che andrà in scena in prima assoluta il 3 ottobre?

Sì, crediamo nel diritto di tutti di avere un posto dove stare, lo spettacolo è anche il frutto di queste riflessioni. Nasce nel periodo del lockdown, abbiamo lavorato a distanza, fatto domande sul significato di alcune parole. Ci sono arrivate tantissime registrazioni vocali e anche scritti. Abbiamo lavorato soprattutto con le Vagamonde, ma anche con tutte le donne che abbiamo incontrato in questi anni, che sono centinaia. Questo materiale è entrato nel testo dello spettacolo e, con le voci registrate, la musicista Ailem Carvajal ha composto una colonna sonora fatta di suoni, voci, anche parti del Trovatore. Useremo lo spazio, la Galleria San Ludovico, in un modo particolare, ascoltando quel che il posto ci offre, la poetica del luogo per cui non ricreiamo un teatro ma seguiamo l’architettura dello spazio. Avremo una lunga pedana in cui agiranno le attrici, e gli spettatori saranno dieci da una parte e dieci dall’altra parte della pedana. Solitamente lavoravamo con gruppi di persone enormi, ma quest’anno abbiamo, per ovvie ragioni, dovuto dimezzare e avremo 14 persone sul palco 13 donne e 1 uomo. Lo spettacolo si replicherà sei volte in un giorno durerà mezzora circa.

Dal tuo punto di vista, da triestina Parma ti sembra accogliente?
Sotto certi punti di vista sì, soprattutto per quel che riguarda il sociale: ci sono un’infinità di associazioni che si danno da fare, c’è molta attenzione.
Trieste è una città diversa, un crocevia. Io da sempre ho sentito parlare mille lingue, c’è la minoranza slovena, è una città di porto, ma i problemi ci sono ovunque. Io qui vedo molta positività “umana”. C’è una parte che ha voglia di “altro” che è curiosa.

Tatiana Cogo

Io non ho posto
Galleria San Ludovico 3-4 ottobre dalle 15.30 alle 19.30 ogni 30 minuti.
Su prenotazione (sono previsto un massimo di 20 persone a spettacolo)

Ideazione Mario Fontanini Andreina Garella
Regia Andreina Garella
Ambientazione Mario Fontanini
Musiche di scena Ailem Carvajal
Scritto da Andreina Garella e Enrica Mattavelli a partire dalle parole delle donne coinvolte nel progetto
Con Peter Arouma, Leyla Akgul, Barbara Baistrocchi, Ebohimhen Tracy Betty, Pia Bizzi, Valentina Brinza, Favour David, , Roberta Garulli, Alida Guatri, Polina Grusca, Eugenia Michel, Teresa Portesani, Patrizia Sivieri

Rifugio della sabbia, spettacolo che ha debuttato a Verdi Off l’anno scorso: clicca qui!