Nikolaevka

SMA MODENA
lombatti_mar24

26/01/2015

ACCADDE OGGI: Nikolaevka era il nome di un villaggio Russo lungo la linea di ritirata delle truppe dell’Asse che, in seguito al’offensiva Sovietica nella regione di Stalingrado iniziata nel Dicembre 1942, furono costrette a ripiegare abbandonando la linea del Don.
Il 16 Dicembre le forze sovietiche avevano lanciato l’Operazione Piccolo Saturno per accerchiare e distruggere l’8° Armata italiana, e poi, tagliate le linee di comunicazione del gruppo di Armate A dell’Asse, isolare la 4° Armata Panzer nel mezzo dell’operazione Wintergewitter (Tempesta D’Inverno) – il tentativo di portare aiuto alla 6° Armata tedesca assediata a Stalingrado. In tre giorni di aspri combattimenti i sovietici avevano aperto un varco di 45 km nelle linee italiane e distrutto il 2° e 35° corpo dell’esercito.
Il Corpo Alpino appartenente all’8° Armata – composto dalle divisioni alpine Julia, Tridentina, Cuneense e dalla 156° Divisione di fanteria Vicenza – era rimasto inizialmente poco coinvolto nei combattimenti, fino al 13 Gennaio del ’43 quando l’Armata Rossa lanciò la seconda fase dell’Operazione Saturno in cui circondò e distrusse la 2° Armata ungherese presso Svoboda, a nord-ovest delle posizioni italiane, ricacciò indietro le restanti unità del 24° Corpo d’Armata tedesco e poi attaccò gli Alpini stessi.
Questi ultimi resistettero ma in tre giorni le truppe sovietiche avanzarono di circa 200 km su entrambi i lati del fronte tenuto dagli Alpini, che rimasero completamente circondati.
Agli Alpini era stato ordinato di tenere le proprie linee a tutti i costi, ma resosi conto della situazione drammatica e di fronte alla prospettiva veder cadere prigionieri decine di migliaia di soldati, il comando impartì l’ordine di ritirata generale, che iniziò il 17 Gennaio. A quel punto le divisioni Julia e Cuneense erano già state pesantemente decimate e solo la Tridentina, sostanzialmente intatta, aveva ancora operatività come unità combattente.
Una massa di 40.000 soldati – moltissimi erano sbandati appartenenti ad altri comandi, a cui si erano aggregati resti di unità tedesche ed ungheresi – formò due colonne che seguirono la divisione Tridentina che, sostenuta da pochi veicoli corazzati tedeschi, aprì la marcia dirigendosi verso ovest per rompere l’accerchiamento del nemico che aveva occupato ogni villaggio lungo la possibile linea di ritirata.
Aspri scontri furono combattuti in posti sperduti come Ladomirovka, Dectjarnaja, Molakijeva, Nitikovka, dove i russi tentavano ripetutamente di bloccare le unità dell’Asse.
La mattina del 26 gennaio, le avanguardie della Tridentina raggiunsero il piccolo villaggio di Nikolaevka, ora parte dell’abitato di Livenka. Una divisione sovietica di quasi 6.000 soldati armati con cannoni e carri occupava la zona circostante per sbarrare definitivamente il passo agli Italiani.
Dietro agli Alpini si ammassarono le colonne in ritirata che, già dalle prime ore del mattino, erano state bombardate da quattro aerei sovietici. Gli Alpini iniziarono ad attaccare con circa 4.000 soldati, consapevoli che questo era l’ultimo caposaldo che sbarrava la via verso la salvezza, ma i sovietici, asserragliati, non cedettero e con il protrarsi dello scontro nel pomeriggio le unità italiane divennero disperate perché aumentava il rischio che i rinforzi nemici potessero arrivare alle spalle e prenderli tra due fuochi.
Inoltre, come ricorda Eugenio Corti, la prospettiva di “….una notte all’aperto a 30 gradi sottozero ed esposti ai colpi dei nemici, sarebbe stata la fine per tutti: non ci sarebbe stata una partenza all’indomani, né mai.” Quando il sole iniziava ormai a tramontare, il generale Luigi Reverberi, comandante della Tridentina, salito in piedi su uno degli ultimi tre Panzer rimasti, sparò dei colpi di pistola in aria per richiamare l’attenzione degli uomini e poi urlando “Avanti Tridentina! Avanti! Tutti Avanti!”, condusse i suoi uomini personalmente all’assalto.
Quello che poteva essere l’ultimo sforzo di cui la gli uomini della Tridentina erano capaci galvanizzò le restanti truppe che avevano assistito passive e demoralizzate allo scontro e che ora, con la forza della disperazione si spinsero in avanti. Un’onda umana di migliaia di uomini avanzò con la Tridentina travolgendo le linee russe che, con l’eccezione di alcune punti di resistenza, cedettero di schianto e abbandonarono il villaggio dopo aver subito pesanti perdite.
I Russi non si interposero più lungo la marcia degli Alpini che tra il 31 Gennaio e i primi giorni di Febbraio del ‘43 raggiunsero le linee dell’Asse a Shebekino, al di fuori della sacca nemica, sotto la guida del generale Reverberi, a cui più tardi sarà conferita la medaglia d’onore per il coraggio dimostrato.
In 15 quindici giorni i soldati avanzarono per 200 chilometri a piedi, combatterono ventidue battaglie vincendole tutte e trascorsero molte notti accampati in mezzo alla steppa, spesso con temperature che potevano raggiungere anche i 40 gradi sotto zero. Il giorno in cui iniziò la ritirata il Corpo d’Armata Alpino contava 61.155 uomini. Dopo la battaglia di Nikolaevka ne rimarranno 13.420, a cui si aggiunsero altri 7.500 feriti o colpiti da congelamento. Circa 40.000 furono coloro che rimasero indietro, morti nella neve, dispersi o catturati.
La 4° Divisione Alpina Cuneense era stato annientata. Solo un decimo degli effettivi della 3° Divisione Julia sopravvisse e nelle file della Tridentina si contarono 4.250 sopravvissuti su 15.000.

Alessandro Guardamagna