
Questa non è una “recensione necessaria”. Questo è un pezzo di vita.
Sta a voi se attardarvi nella lettura o passare oltre (in calce all’articolo scalette e link a Spotify).
Un passo indietro: Milano 1985. Quel 21 giugno, per la prima volta, Bruce Springsteen con la E Street Band originale al gran completo atterra sul palco di San Siro. L’effetto è deflagrante… Uno dei concerti fondamentali del Boss, che da quel momento in Italia diventa uno degli artisti rock più amati e diciamolo pure venerati da un grande numero di fan.
Ebbene, io non c’ero. Appena finito l’esame di terza media, ero in un campo estivo e non me la sono sentita di imbarcarmi su un’auto con qualcuno (qualche proposta era arrivata), all’insaputa dei miei genitori. Dal giorno dopo, sentito del grande concerto, il rimpianto fu grande: consumai il bootleg “Bruce Zirilli. Back to the roots” (titolo ispirato al cognome della madre, Adele Zirilli, da Vico Equense, scomparsa lo scorso anno, quasi centenaria). Cominciai a torturare la mia Eko acustica con i tre accordi del rock e molte canzoni di Springsteen, imparate a memoria… approdai poi ad una Telecaster, per ovvi motivi.
Ho visto alcuni concerti di Springsteen, sempre a distanza di tempo l’uno dall’altro, evitando di vedere solo lui: ho sempre rifuggito la figura del fan incallito e ossessivo, tipica dell’universo springsteeniano. Ma quest’anno le ricorrenze erano troppe: 50 anni da “Born To Run”; 40 da “Born In The USA” …ho ceduto, promettendomi che sarà l’ultimo. Ho fatto bene, anzi benissimo… e dentro di me lo sapevo ovviamente.
Perché ha ragione il compianto Massimo Cotto, giornalista che ha molto contribuito a far conoscere Springsteen in Italia: “Si va a vedere Bruce Springsteen non per vedere come sta lui, ma per vedere come stai tu. Se sei ancora capace di commuoverti, esaltarti, urlare. Se sei ancora vivo”. Che è poi l’essenza del fare e vivere il ROCK.
Dunque, nell’approssimarmi a San Siro – tempio italico del Boss da sempre – avevo due sentimenti contrastanti: l’incontro con un fratello maggiore da cui ho imparato tanto e che mi ha trasmesso una passione infinita per la musica; il rischio che questo incontro fosse una versione diminuita (senile e gonfiata dalle folle adoranti) del vero Springsteen, quello che ho conosciuto nel pieno della sua creatività artistica e che mi ha cambiato diverse cose, a livello musicale e non solo.
Ecco l’esito: la scommessa è stata vinta a mani basse!
Non ha iniziato, come il 30 giugno con “No surrender” …non ce n’era bisogno, in quanto il gioco era opposto: infatti ci siamo tutti arresi – parlo a nome dei presenti, ma vale per ogni suo live – all’evidenza di essere davanti al miglior performer rock di sempre.
Uno Springsteen incazzato come una biscia contro Donald Trump e la sua “corrotta amministrazione”: due discorsi, uno ai saluti iniziali, uno prima della splendida “My City Of Ruins” che fanno emergere un patriottismo vissuto da sempre con dignità, nonostante si sia potuto e si possa permettere molto più dei suoi compatrioti. La sua critica non sta nella collocazione politica, ma nel disprezzo dei valori condivisi che hanno fatto grandi gli USA, valori oggi calpestati in modo cinico e disumano da Trump. Un discorso di enorme coraggio e onestà, che pochi altri artisti saprebbero sostenere.
Bruce Springsteen parla come americano vero, come working class hero, ruolo che da sempre interpreta, cantando di classe media, di operai, di sogni e speranze della gente comune. La sua non è una posa studiata: il pubblico lo sa e lo sostiene con forza in questi appelli, che, mentre vengono pronunciati, sembrano costargli molto dal punto di vista umano (vedremo se e quali esiti ci saranno al suo ritorno in patria). In questa sua coerenza artistica e stilistica, Springsteen non si scaglia solo contro Trump, ma sembra parlare, anzi urlare, contro le logiche di mercato, gli algoritmi, tutto ciò che mercifica l’arte, le relazioni umane, l’uomo stesso… e lo fa nel modo con cui è imbattibile: con il linguaggio diretto e generoso del rock, che è liberatorio, inclusivo e fermamente democratico, in quanto aperto a tutti, a partire da chi sta “ai margini della città”.
Un linguaggio positivo, che trova linfa nel sudore di chi non si risparmia per tre ore, nemmeno a 75 anni suonati. Tre ore in cui non ha un cedimento vocale e, nonostante i movimenti siano molto più lenti di un tempo, riesce a trasmettere una straordinaria carica legata al carisma della sua voce.
A differenza del 1985, fondamentale per lo show è la ricchezza sonora della band: alla E Street Band (a cui dell’originale mancano il tastierista Danny Federici e il mitico Clarence Big Man Clemons al sax) si affianca una sezione fiati di primissimo livello, alcune coriste altrettanto notevoli, l’impeccabile violinista Soozie Tyrrel e un tastierista di gran classe come Charles Giordano, che affianca il Professor Roy Bittan, mago del pianoforte.
La scaletta è diversa da quella del 30 giugno soprattutto all’inizio, dove piazza subito due gioielli presi da “Darkness On The Edge Of Town”, che ritengo il suo album di riferimento, come autore di canzoni. Quello in cui, asciugati i furori degli esordi, sublimati in “Born To Run” si concentra su liriche dense di verità, melodie riconoscibili e popolari, potenza espressiva.
Tra i tanti momenti topici del concerto, voglio ricordare: “Because The Night” – che regala sempre un colpo al cuore nel suo crescendo romantico fino al solo incendiario di Nils Lofgren; “My City Of Ruin”, in cui il Boss dimostra di avere assorbito la lezione del gospel fino all’ultima goccia di speranza; una struggente “My Hometown”, che con la sua voce di oggi assume connotati letterari alla Cesare Pavese (“un paese ci vuole anche solo per il gusto di andarsene”) …ed una trascinante “Wrecking Ball”, con la band gettata a bomba contro l’ingiustizia (per citare il nostro grande Maestrone). Ma non ci sono stati momenti minori: vecchie e nuove canzoni mescolate sapientemente per dimostrare che il Boss dà ancora le carte e non si rinchiude in un passato glorioso.
Il gran finale, tripudio di botta e risposta con un “wall of sound” enorme da una parte (E Street Band) e dall’altra (il magnifico pubblico di San Siro), per chi conosce i live di Springsteen è un deja vu, che ogni volta ti trascina e ti restituisce tutta l’energia di cui il rock è capace. È il momento della celebrazione dei miti a cui lui stesso attinge in modo esplicito: i Beatles di “Twist And Shout”, il grandioso Bob Dylan di “Chimes Of Freedom” e, inaspettatamente, la trascinante chiusura con “Rockin’ All Over The World” di John Fogerty, vero testimone coi suoi Creedence Clearwater Revival delle radici sonore americane.
Ci siamo, dopo 2 ore e 50 minuti di live, il Boss si congeda, lasciando volutamente spazio alla voce indimenticabile di Woody Guthrie, a completare il poker di padri nobili, con quello che è il vero inno dell’America libera: “This Land Is Your Land”.
La cerimonia è conclusa: sudati e felici, si esce lentamente, in modo composto e con uno spirito unitario che non richiede parole. È il potere della musica: quello di unire, mentre il mondo tende a dividere.
Ancora una volta vince una frase fatta, ma straordinariamente vera: “la gente si divide in quelli a cui non piace Springsteen e in quelli che lo hanno visto dal vivo”.
Alberto Padovani
Recensioni Necessarie #18
“Land Of Hope & Dreams Tour” – Milano, Stadio S.Siro
Scaletta del 3/7/2025
– My Love Will Not Let You Down
– Prove It All Night
– Darkness On The Edge Of Town
– Land of Hope and Dreams (People Get Ready)
– Death To My Hometown
– Lonesome Day
– Rainmaker
– The Promised Land
– Hungry Heart
– The River
– Youngstown
– Murder Incorporated
– Long Walk Home
– House Of A Thousand Guitars
– My City Of Ruins
– My Hometown
– Because The Night
– Wrecking Ball
– The Rising
– Badlands
– Thunder Road
– Born In The U.S.A.
– Born To Run
– Bobby Jean
– Dancing In The Dark
– Tenth Avenue Freeze-Out
– Twist And Shout
– Chimes Of Freedom
– Rockin’ All Over The World
– This Land Is Your Land (Woody Guthrie song)
Scaletta del 30/6/2025
– No Surrender
– My Love Will Not Let You Down
– Land Of Hope And Dreams
– Death to My Hometown
– Lonesome Day
– Rainmaker
– Darkness On The Edge of Town
– The Promised Land
– Hungry Heart
– The River
– Youngstown
– Murder Incorporated
– Long Walk Home
– House Of A Thousand Guitars
– My City Of Ruins
– I’m On Fire
– Because The Night
– Wrecking Ball
– The Rising
– Badlands
– Thunder Road
– Born In The U.S.A.
– Born To Run
– Bobby Jean
– Dancing In The Dark
– Tenth Avenue Freeze-Out
– Twist and Shout
– Chimes of Freedom
– This Land Is Your Land
E Street Band (in ordine cronologico di appartenenza)
Bruce Springsteen, voce, chitarre, armonica
Garry Tallent, basso
Steve Van Zandt (Little Steven), chitarre, cori
Max Weinberg, batteria
Roy Bittan, piano e tastiere
Charles Giordano, tastiere
Jake Clemons, sax (nipote del mitico Clarence Clemons)
Soozie Tyrrel, violino, cori
…a cui si aggiungono una sezione fiati e una sezione cori