
Nei primi anni dello Stato unitario ci sono posizioni diverse circa la struttura che deve assumere l’Italia, all’inizio quella che verrà chiamata la “Piemontesizzazione” non è un risultato ancora scontato. Negli stessi giorni della formale costituzione del Regno d’Italia, marzo 1861, viene presentato un disegno di legge, sull’istituzione di Regioni, intese come consorzi permanenti di Province, anche per conservare alcune tradizioni amministrative degli Stati pre unitari.
Il prevalente e costante timore di pregiudicare con un ordinamento policentrico l’ unità nazionale raggiunta, porta in modo definitivo a votare nel marzo del 1865 un ordinamento di Comuni e Province, che estende la legge del Regno di Sardegna del 1859 che ripropone lo schema centralistico d’ispirazione francese.
La figura centrale è quella del prefetto, come rappresentante del governo centrale nella Provincia, ruolo che durante il ventennio fascista verrà accentuato dando ad esso un potere esplicito di vigilanza politica.
Tenendo sempre presente il timore che un regionalismo, troppo accentuato, o il regionalismo comunque declinato sia un possibile “scollante” dell’unità dello Stato, facciamo un salto nel tempo e arriviamo all’apertura dei lavori dell’Assemblea costituente nel giugno del 1946.
Nei tre partiti maggiori dell’Assemblea, Democrazia Cristiana, Partito Socialista, Partito Comunista, emerge la volontà di fare della Repubblica uno Stato nuovo, non solo rispetto al regime fascista, ma anche allo Stato liberale come si era affermato dall’unità all’avvento del Fascismo.
Il tema delle autonomie locali viene affrontato come uno strumento per rendere l’esercizio del potere pubblico più vicino ai cittadini; si veda a tal proposito l’art. 5 della Costituzione, posto tra i Principi fondamentali.
L’introduzione delle Regioni in Costituzione è proposta in Assemblea dal democristiano Gaspare Ambrosini; i comunisti e i liberali vedono, da diverse posizioni, nel nuovo ente un minaccia all’unità nazionale, i socialisti hanno un’importante tradizione di governo nei Comuni, ma il livello di autonomia regionale costituisce una novità.
Una novità con un’eccezione; nel maggio del 1946, ancora prima della proclamazione della Repubblica, la Sicilia ottiene l’autonomia regionale speciale, dopo l’esperienza del movimento separatista.
L’istituto regionale, alla fine, entra nella Costituzione, come il più alto livello di autonomia, l’unico con competenza legislativa, l’unico disciplinato nel testo costituzionale, Comuni e Province sono disciplinati da leggi ordinarie.
Sono previsti dalla nostra Carta fondamentale due tipi di regione, a statuto speciale ed a statuto ordinario. Le prime costituiscono una realtà già formata (Sicilia) o in via di formazione per Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, al momento dell’entrata in vigore della Costituzione (la Regione a statuto speciale Friuli Venezia Giulia verrà istituita nel 1963); si differenziano perchè quelle a statuto speciale hanno ognuna proprie competenze legislative esclusive in materie indicate da ogni statuto.
Nonostante le stringenti disposizioni degli artt. VIII e IX delle Disposizioni transitorie e finali che indicano entro un anno, il 1948, l’elezione dei consigli regionali e l’adeguamento entro tre anni della legislazione statale alle esigenze di quella regionale, per ben ventidue anni le quindici regioni a statuto ordinario non verranno istituite; solo nel maggio del 1970 si terranno le elezioni dei consigli regionali.
Perchè questo ritardo?
Terminati i lavori della Costituente, la situazione politica internazionale ed interna è cambiata, è iniziata la guerra fredda con riflessi sulla politica italiana che quasi inverte le posizioni del dibattito in Assemblea, i democristiani al governo da promotori sono frenatori, i comunisti ed i socialisti da contrari o dubbiosi passano a proporre l’attuazione dell’istituto regionale. Infatti, quando nel 1963 i socialisti andranno al governo con i democristiani, il tema ritorna nel dibattito politico fino all’attuazione completa dell’istituto regionale.
Il timore che il regionalismo metta a rischio l’unità dello Stato è una costante nella nostra storia unitaria, tanto che anche il dibattito parlamentare sulla legge di attuazione delle regioni a statuto ordinario (1970) ha visto riemergere il tema.
Il rapporto tra Stato e regioni ha trovato una nuova sistemazione costituzionale con
la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione del 2001. La legislazione concorrente tra Stato e regioni è fonte di un notevole contenzioso davanti alla Corte costituzionale per vizio d’incompetenza delle leggi. Cioè nelle materie indicate nella rinnovata versione dall’art. 117 della Costituzione, che devono essere disciplinate da leggi ordinarie (dello Stato) e leggi regionali, la Corte troppe volte è chiamata a decidere sul rispetto dei limiti di competenza tra leggi ordinarie dello Stato e leggi delle regioni.
Stefano Gelati