Chi è Michele Guerra. Il nuovo sindaco di Parma si racconta. INTERVISTA

foto di Michele Mendi

Il percorso scolastico, la carriera universitaria, la chiamata ad assessore comunale, la vittoria contro Vignali. La vita di Michele Guerra in un’intervista rilasciata al mensile cartaceo 0521 Mag nella pubblicazione di luglio uscita in questi giorni (scarica la pubblicazione completa).

Sindaco, ci racconti la sua vita.

Sono nato a Parma il 19 gennaio 1982. Ho frequentato la scuola dell’infanzia San Giovanni in borgo Pipa. I miei genitori mi hanno iscritto alle elementari a cinque anni a “La Salle” perchè volevano farmi fare la primina. Sono sempre andato a scuola con i nati del 1981.

La Salle è stata una scuola che mi ha fatto conoscere amici che frequento ancora oggi, insegnato lo sci nelle settimane bianche e il calcio che è stato lo sport che ho sempre praticato.

In che ruolo giocava a calcio?

Ho cominciato in porta. Un giorno da bambino mi ruppi un dito e l’allenatore mi chiese di scendere in campo a centrocampo col dito steccato. Me la cavai abbastanza bene e mi confermò in quel ruolo.

Quindi ho giocato al Mercury, per finire la mia “carriera” a Bibbiano in eccellenza nella categoria juniores.

A quel punto stavo iniziando l’università e a diventare un pò miope. Non volevo mettermi gli occhiali per giocare a calcio e quindi smisi. Per qualche anno con un amico feci l’allenatore di una squadra di calcio di ragazzi, poi smisi del tutto.

Tornando al mio percorso scolastico, alle medie sono andato alla Fra Salimbene e alle superiori al liceo classico Romagnosi.

Ha fatto mai degli scioperi?

Sono entrato in qualche occupazione del Romagnosi per curiosità, ma devo dire che non le facevo io. Non ho mai dormito a scuola, tanto per intenderci. Le occupazioni le faceva Andrea Bui, che alle ultime elezioni comunali si è candidato sindaco per Potere al Popolo! e Rifondazione Comunista. Andrea ha due anni più di me e ci siamo conosciuti al Romagnosi di cui ero un rappresentate di Istituto. Lui era il leader di queste occupazioni, aveva un carisma politico forte, diverso dal mio moderato, “conservatore” direbbe lui.


Veniamo al periodo universitario…

Mi iscrissi alla facoltà di Lettere presso l’Università di Parma. Il mio obiettivo era di fare da grande un mestiere che mi ha sempre affascinato come quello del giornalista e quindi, dopo la laurea, di iscrivermi a un corso di giornalismo. Avevo già verificato alcune possibilità a Milano e altrove, ma quando mi stavo per laureare mi venne proposto di provare un dottorato. C’era una scuola come quella di Carlo Quintavalle in cui cinema, media e fotografia erano studiati in maniera ancora avanguardistica. Tentai questa prima borsa di spettacolo che veniva messa a bando dall’Università di Parma. Vinsi il dottorato e da lì cominciò la mia attività di ricercatore.

Mentre facevo il dottorato nacque la mia passione per le neuroscienze cognitive.

Cioè?

Sono lo studio del cervello a partire dai circuiti neurali che permettono di comprendere come noi capiamo il mondo. Erano gli anni in cui il professore Vittorio Gallese iniziava a interessarsi di neuroestetica. Lo incontrai alla fine del dottorato e iniziammo a parlare di filosofia, cinema, cognitivismo.

Ritenni che i suoi studi potessero essere applicati anche al cinema e cominciammo a lavorare insieme. E’ stato un punto di svolta della mia vita perchè su questi temi ottenni una fellowship all’Università di Stanford in California a Palo Alto che mi mise in contatto con grandi scienziati impegnati nelle relazioni tra neuroscienze cognitive e discipline umanistiche.

Quando tornai in Italia scrissi dei papers con Gallese sia di ambito umanistico che scientifico e il libro “Lo schermo empatico” che venne tradotto in inglese.

Teoria del cinema, cinema americano e italiano sono gli altri miei ambiti di ricerca.

Quale è stata la sua carriera universitaria?

Sono entrato come ricercatore nel 2011 e mi sono abilitato prima da professore associato e poi da ordinario a 36 anni.

Ho lavorato all’Università anche a livello istituzionale. Con il rettore Loris Borghi, che per me è stata una figura di vita cruciale, svolsi il ruolo di delegato dell’Università alle attività culturali e ai rapporti con i media.

Vi racconto un aneddoto.

Mentre Borghi era in corsa da rettore, mi telefonò e convocò nel suo studio al padiglione Barbieri dicendomi che voleva partire coi suoi incontri da me che ero il ricercatore più giovane dell’Università di Parma. Nel nostro colloquio mi ascoltò, volle sapere chi ero e conoscere la mia storia. Alla fine mi disse: “Guardi, scrivo su questo foglio la ‘R’ di reclutato. Se diventerò rettore la richiamerò”. Mentre uscivo dal suo ufficio pensai tra me e me: “Pur di prendere un voto metterà la ‘R’ a tutti.” Quando fu eletto rettore mi telefonò e chiese di far parte della sua squadra. Borghi riuscì a dare l’idea di un’Università fuori da ogni gerarchia. Non era più soltanto la casta dei professori ordinari ma anche giovani ricercatori furono chiamati a partecipare. Quella fu una palestra importantissima, credo decisiva nella formazione del mio metodo di lavoro. Oggi “Cinema, fotografia e televisione” è una disciplina forte nell’Università di Parma, con un gruppo di ricerca composto da sei persone che mi dispiace molto lasciare.

E’ in quel periodo che iniziò la sua attività “politica”, pur a livello universitario?

Sì. Venni anche nominato vicedirettore del Dipartimento Umanistico, di cui fanno parte più di cento docenti, e questo mi fece crescere, così come lavorare allo CSAC. Sono incarichi in cui devi maturare capacità relazionali e tenere insieme mondi diversi (anche generazionali) e rapporti inter-istituzionali.
E’ stata un’esperienza che mi ha messo in più occasioni in contatto col Comune e credo una delle ragioni per le quali sono stato chiamato a fare l’assessore del Comune di Parma.

Dove ha incontrato Pizzarotti?

Ci eravamo incrociati più volte ma non ci conoscevamo. Alla fine della campagna elettorale del 2017 mi telefonò per un caffè e mi propose di fare l’assessore alla cultura. Dopo essermi consultato con persone di cui ho grande fiducia, accettai. Sono contento di quella scelta perchè il ruolo di assessore ti mette in gioco, in un ambiente non più protetto, benchè molto competitivo, come quello universitario. Se fai l’amministratore pubblico ogni giorno per strada puoi ricevere critiche da parte di chiunque. E’ un bagno di umiltà perchè sei alla portata di ogni giudizio e ciò ti obbliga costantemente a interrogarti e metterti in discussione, più di quanto avvenga all’Università dove qualcuno può pensare che tu sia più o meno bravo ma comunque sei un professore.

Quelli in Comune a Parma sono stati cinque anni positivi, di incontri e contatti con realtà che altrimenti non avrei mai conosciuto, umanamente arricchenti e amministrativamente educativi.
Poi c’è stata Parma Capitale della Cultura 2020+21 che mi ha permesso di costruire relazioni sovralocali, un progetto riuscito molto bene che ha portato a Parma importanti risorse e posizionato la città a livello nazionale in tanti settori.

Qual è l’eredità di Parma Capitale?

Ha lasciato un modello di gestione pubblico-privato che dobbiamo stabilizzare e una consapevolezza e una sinergia del nostro settore cultuale che prima mancavano. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel suo nucleo di valutazione, ha assunto Parma Capitale come modello di gestione della spesa in cultura. E’ stato un progetto che ha inciso moto sulla mia persona, soprattutto sull’idea di lavorare in gruppi larghi.

Infine è arrivata l’elezione a sindaco di Parma… ma questa è una pagina della mia vita ancora tutta da scrivere.

Andrea Marsiletti

perlavalbaganza