
Dopo decenni di proposte, rinvii e polemiche, la diga di Vetto sembrerebbe tornare al centro dell’agenda politica e infrastrutturale italiana. Il progetto, destinato a sorgere lungo il torrente Enza che segna il confine tra le province di Parma e Reggio Emilia, ha conosciuto una svolta nei giorni scorsi con la prima riunione di coordinamento al Mit (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), alla presenza del ministro Matteo Salvini.
Nel corso dell’incontro, è stato definito un cronoprogramma per accelerare la progettazione dell’invaso, considerato strategico per affrontare la crisi idrica e la gestione delle emergenze climatiche. Alla riunione hanno partecipato il commissario appena nominato, Stefano Orlandini, i rappresentanti dell’Autorità di bacino del Po – già beneficiaria di fondi ministeriali – e la STM, società incaricata della progettazione.
Secondo quanto comunicato dal Mit, la prima bozza del progetto sarà consegnata entro agosto e sottoposta immediatamente a una valutazione tecnica da parte del commissario. Il prossimo incontro è fissato per inizio settembre, con l’obiettivo di monitorare i progressi e coordinare le fasi successive.
Salvini ha ribadito il proprio impegno sul dossier, definendo la diga “un’opera fondamentale per la sicurezza idrica e la protezione del territorio”, sottolineando la necessità di superare gli ostacoli burocratici che per decenni hanno rallentato l’iniziativa.
Ma la storia della “diga di Vetto” è lunga 150 anni, perché l’idea di realizzare uno sbarramento sul torrente Enza risale addirittura alla seconda metà dell’Ottocento. Più concretamente, il progetto prese forma tra gli anni ’70 e il 1988, ma fu accantonato a causa delle forti opposizioni ambientali e della mancanza di un consenso istituzionale solido.
Dopo la grave siccità del 2022, il dibattito si è riacceso. A marzo 2023, il governo ha stanziato 3,2 milioni di euro, con l’aggiunta di 300.000 euro da parte della Regione Emilia-Romagna, per lo studio di fattibilità tecnico-economica. La progettazione, tuttavia, non è ancora stata completata, e le tappe burocratiche restano numerose.
Se da un lato il progetto è sostenuto da una parte del governo e del mondo agricolo, dall’altro ambientalisti, associazioni civiche e una parte della politica locale continuano a manifestare dubbi e contrarietà.
Legambiente Emilia-Romagna aveva definito la diga un’opera “obsoleta, costosa e impattante”, proponendo soluzioni alternative come il riuso delle acque reflue, il recupero delle ex cave e una gestione più efficiente dell’acqua in agricoltura.
Se l’iter proseguirà secondo i piani annunciati, il 2025 potrebbe rappresentare l’anno della svolta per un’opera da sempre molto discussa.
Resta da vedere se il compromesso tra esigenze ambientali, sicurezza idrica e tempi di realizzazione sarà finalmente raggiunto.
Tatiana Cogo