Il Coronavirus e i risvolti psicologici nei bambini. INTERVISTA a Antonella Squarcia, direttrice della neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Parma

SMA MODENA
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Ci sarà un prima e un dopo l’emergenza Coronavirus, anche dal punto di vista psicologico, niente sarà più come prima per tutti: per gli adulti, per i bambini e per gli adolescenti.

A lungo si è parlato della parte sanitaria, della situazione di emergenza, dell’obbligo di rimanere fra le mura domestiche, molto meno si è scritto e detto dei più piccoli e del loro stato psicofisico. Forse perché fortunatamente sembrano immuni dal virus, sono stati spesso messi in secondo piano, fuori dai riflettori, anche dai media.

Per questo abbiamo chiesto ad Antonella Squarcia, direttore neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Parma quali sono le preoccupazioni degli specialisti e come è la situazione attuale.

“Avevamo grandi preoccupazioni, vista la situazione. Ma devo dire che sono emerse nelle famiglie risorse impensate, come un alto grado di resilienza e anche competenze inaspettate. Venivamo da una situazione in cui i bambini erano iperstimoltati, con tante attività settimanali, eccessivo utilizzo di tablet e altri strumenti tecnologici, spesso non si è tenuto conto dei loro tempi e della biologia, degli aspetti individuali di ciascuno. E teniamo presente che l’essere multitasking fa male agli adulti e ancora di più ai bambini. Con questo fermo obbligatorio improvviso abbiamo riscontrato che molte problematiche si sono risolte da sole. Parlando con i pediatri della provincia, quando era uscito il discorso della necessità della passeggiata con i bambini abbiamo concordato sul fatto che non sono loro ad averne bisogno perché fra le mura di casa stanno bene, sono gli adulti che ne hanno la necessità”!

Come se la cavano le famiglie?

In generale mi sento di dire che oggi, nelle famiglie senza fragilità, dove si è ripreso in mano il valore genitoriale, anche perché non è più possibile delegare alle scuole, allo sport, alle parrocchie, sono emerse molte competenze, c’è molta più attenzione alla relazione. E questo aspetto lo abbiamo riscontrato confrontandoci anche con la rete regionale di neuropsichiatria infantile. Però, fino a questo momento, ci si è focalizzati sul sintomo infettivo e si è messa in secondo piano la psiche, le emozioni sono state in qualche modo azzerate. Non si è prestata abbastanza attenzione all’insieme. Per quanto riguarda i pazienti che seguiamo ci siamo resi subito conto che i telefoni non squillavano più e dunque abbiamo ricontattato tutti per sapere come stavano e loro si sono raccontati, hanno ripreso il dialogo ci hanno parlato della fatica e della paura.

Nei bambini quali sono i segnali di disagio a cui fare attenzione?

I sintomi cardine sono le variazione del comportamento alimentare, cioè il mangiare molto di più o molto meno rispetto alla norma, le alterazioni del ritmo del sonno e la comparsa di incubi e in questo senso bisogna fare molta attenzione all’utilizzo dei tablet o della tv, sono strumenti utili, ma molto dipende da quanto si usano e in quali orari, non bisogna abusarne. Poi bisogna fare caso agli aspetti ansiosi rituali e ossessivi come per esempio l’essere improvvisamente molto ordinati, sistemare le cose in un certo modo preciso. Infine ci possono essere delle regressioni, che è una difesa evoluta, si torna un po’ indietro perché è rassicurante, si cerca il ciuccio o si vuole bere con il biberon, sono riti autoconsolatori.

Cosa fare in questi casi?

Non bisogna avere paura a chiedere aiuto, perché questi segnali non vanno trascurati, ci sono molti centri di ascolto sia del servizio pubblico, che privati. Onestamente abbiamo riscontrato la presenza di tante reti di sostegno molto competenti. Diverse mamme e di tutte le estrazioni socio culturali hanno bisogno di concedersi di farsi delle domande rispetto a questi eventi. Il confronto esterno è importantissimo.

Come vi muoverete ora?

Siamo partiti da diverse settimane a lavorare sui disturbi post traumatici per diversi target. I processi di riparazione per diversi profili. Ma il processo catartico dovremo affrontarlo tutti, perché sarebbe tossico rimuovere, ci sarà un tentativo di dimenticare, ma questo non va bene, dobbiamo tutti elaborare il lutto. La sfida che l’Azienda Ausl dovrà affrontare nella fase due sarà proprio farsi carico della prevenzione secondaria se non terziaria. I prossimi saranno mesi critici.

È giusto rispondere sempre alle domande che i bambini fanno sul Coronavirus dicendo la verità?

Dipende se la modalità è accettabile rispetto all’età del bambino, se siamo sicuri che siano in grado di comprendere pienamente, perché in caso contrario genereremmo un ulteriore trauma.

La mancanza della scuola per i bambini più piccoli è un problema?

C’è la perdita di una relazione di riferimento, ma le famiglie che hanno competenze, non quelle in cui emergono chiare fragilità, riescono a supplire. In generale ci sarà uno spartiacque importante. Chi riuscirà a riappropriarsi pienamente della propria genitorialità e riuscirà a vedere i figli non come un’appendice di sé o uno strumento per realizzare se stesso ce la farà. Immagino che comunque ci saranno rotture importanti. Questa situazione diverse separazione. Per esempio registriamo un picco di violenze intra domestiche e molte donne hanno trovato il coraggio di rivolgersi ai centri antiviolenza in cerca di aiuto per se e per i propri figli, lasciando la casa.

Quindi ci sono anche risvolti positivi?

Questa sarà una chance imperdibile per imparare a dare il giusto valore gerarchico alle cose, non dobbiamo farci scappare questa occasione, perché abbiamo pagato un prezzo altissimo per averla.

Tatiana Cogo