Il parmigiano Emile Rivera in tour negli USA

SMA MODENA
lodi1

10/07/2009

Emiliano, parlaci un po’ del tuo nome d’arte?
Il mio nome d’arte Emile Rivera nasce più che altro da un’esigenza. Quando ho scoperto che il mio album sarebbe stato distribuito in 80 Paesi ho iniziato a lavorare per tradurlo in inglese e per promuoverlo all’estero. E, insomma, il mio nome è in inglese è una specie di scioglilingua.
Assieme al mio amico Kampah (grafico e regista di livello mondiale che ha creato anche il booklet del disco), che vive a Los Angeles, abbiamo fatto un po’ di brainstorming e alla fine è uscito questo.
Suona bene, è allo stesso tempo di moda e old-fashioned. E’ evocativo, mi è piaciuto subito. E l’ho adottato ufficialmente.

Parlaci della tua band?
La mia band fondamentalmente non esiste. Ho una serie di musicisti che lavorano con me, chi più chi meno. Davide Buzzi e Gabriele Anversa sono quelli che hanno seguito il progetto sin dall’inizio.
Poi collaboro con tanti grandi musicisti: Claudio Tuma, Mirko Reggiani, Jaime Dolce, Mario Basile, Alessandro Angeletti. Poi ci sono due giovani fenomeni di La Spezia: Matteo Cidale e Leonardo Corradi. E in occasioni speciali ho collaborato con Jim Donovan, Paolo Schianchi, PJ Roduta, Guido Ponzini, Bill Burke… fatico a elencarli tutti.

Genere musica?
Tendenzialmente porto in giro il tipico suono dei cantautori rock americani. Però amo sperimentare e reinventare. A volte mi si trova in acustico, a volte in versione jazz… dipende dalla situazione.
“Genere” in fondo è una parola piuttosto stupida, coniata negli anni ’80 per dividere il mercato. E poi da qui la divisione quasi a strati sociali della musica. Non amo rinchiudermi in un solo stile musicale. Ci sono sicuramente modi di far musica a cui sono più affezionato ma è un limite che non voglio pormi.

Ti senti il Tom Petty parmigiano?
Tom Petty è un artista che adoro. Secondo me non abbastanza riconosciuto in Italia per il suo valore.
Non lo ascolto da tanto, anch’io l’ho scoperto tardi. Però è stata una folgorazione.
In fondo è colui grazie al quale abbiamo assistito alla rinascita del songwriting tra gli anni ’80 e ’90, quando sembrava ormai andare a morire. E oggi invece i più grandi (Bob Dylan, Bruce Springsteen, Leonard Cohen, Neil Young, Paul Simon, lo stesso Tom Petty) stanno ancora scrivendo e suonando cose fantastiche e negli ultimi anni nascono continuamente grandi realtà di cantautori giovani (vedi John Mayer, Iron & Wine, Keegan deWitt, James Blunt). E’ sicuramente un bel segnale.
Detto questo… l’accostamento a Tom Petty può fare solo piacere. Ci sono tante differenze e di fama e di età e di carriera e musicali. Però non faccio l’ipocrita e mi tengo stretto questo accostamento, magari prima o poi tornerà utile!

Quanto secondo te incide la musica che un artista ha sempre ascoltato sulla sua creatività ed originalità?
Non dico al cento per cento… ma al novantanove sì.
Noi siamo frutto di quel che viviamo. E se facciamo musica, siamo e saremo sempre forgiati da quello che abbiamo ascoltato. E’ ovvio. Non si può inventare da zero. Tra l’altro andiamo sempre più verso la saturazione della musica leggera, quindi creare cose nuove è sempre più difficile. Ma è necessario per non far morire tutto questo movimento che circa cinquant’anni fa ha cambiato il modo di pensare la musica.
Io nasco dai cantautori italiani e americani, mischiati coi grandi gruppi rock. E nella mia musica si sentiranno sempre questi echi, è ovvio.
Ti dirò di più: le mie canzoni sono piene di citazioni dichiarate. Nei testi e a volte anche nelle musiche. Non voglio nasconderlo e anzi, ne faccio un fatto d’orgoglio e un tratto distintivo.

Come hai fatto ad a farti produrre un disco da una casa discografica importante come la Virgin?
Guarda, la storia è molto semplice. Io lavoro da ormai tre anni con Mariano Pappalardo, produttore spezzino della Green Production. E’ una piccola etichetta indipendente. Un bel giorno, qualche mese fa, mi chiama e mi dice di aver firmato un contratto di distribuzione su 80 Paesi con Believe Distribution, la branca del gruppo Virgin che si occupa della distribuzione digitale in Europa. E eccoci arrivati: la Believe si occupa della distribuzione digitale dei miei pezzi (iTunes, Napster, Matchmusic eccetera), e il marchio Virgin apparirà sul disco quando uscirà fisicamente nei negozi.

Per chi volesse seguirvi dal vivo, quali gli appuntamenti da non perdere?
Da non perdere ci sono stati due appuntamenti già. La presentazione del mio singolo il primo luglio al Parco Eridania e il duetto a sorpresa che ho fatto con Omar Pedrini il quattro luglio sempre al Parco Eridania (cosa che ripeteremo presto ma non so esattamente dove e quando).
Per il resto… il 24 e 25 luglio ho un breve tour in Scozia (concerti a Edimburgo e Craigiebield Hotel), poi il tour di circa 50 date negli Stati Uniti in autunno.
Se qualcuno vuole venire è ben accetto. Mi sembra un po’ scomodo però.
A parte gli scherzi, al momento non ho date programmate nelle vicinanze. Quando ce ne saranno lo segnalerò al volo.

Quali sono i gruppi di Parma che più ti piacciono?
Negli ultimi anni ho seguito pochissimo la scena parmigiana, mi sono concentrato sul mio lavoro più che altro. Poi quest’anno mi sono ritrovato a fare il giurato per il concorso di Ultimoappello e ho riscoperto qualcosa.
Per quanto riguarda la musica leggera Parma ha due facce: c’è una schiera di grandi musicisti, alcuni conosciuti anche a livello internazionale più che in città (non sto a far nomi perché è una lista lunghissima e rischierei di dimenticare qualcuno… magari un giorno approfondiamo, visto che è un argomento interessante), e poi c’è un sottobosco di band emergenti in continuo movimento dal quale ogni tanto spuntano realtà interessanti.
Ultimamente mi sono piaciuti parecchio i June e i Lena’s Baedream, due band che riescono a spaziare tra vari stili musicali creando commistioni interessanti. Si stanno proponendo bene nella scena indie e sono convinto che sentiremo presto parlare di loro. Ci sono anche i Lunatica che stanno sviluppando delle idee interessanti.
Poi mi sembra che, lasciando l’indie e approdando all’universo della grande distribuzione, Silvia Olari abbia delle grandi potenzialità. Ora è il suo momento: spero davvero, quantomento per campanilismo, che spicchi il volo e non cada nel dimenticatoio come succede a tanti ragazzi che arrivano dagli show televisivi.

Cosa credi oggi manchi a Parma per favorire la creatività e il successo della band parmigiane?
C’è bisogno solo e soltanto che i giovani musicisti si diano una mossa e capiscano che una cosa è far musica con gli amici per passare il tempo e suonare alle feste, un’altra è far musica per professione. E’ come nello sport: quando sei bravo a un certo punto ti trovi a un bivio. O stai nel “dopolavorismo” o tenti la strada della professione.
E’ un mondo che non ti permette mediazioni. Se non in certi fortunati casi (capita che alcune band di amici arrivino al successo ma davvero raramente).
E così i locali devono imparare a investire. Non a investire di più ma nel modo giusto. Riconoscendo a chi fa il musicista di professione e propone musica di qualità i compensi giusti. E allo stesso tempo dare spazio agli artisti giovani che davvero lo meritano.
Il movimento musicale a Parma è enorme ma è molto dispersivo e questo non fa gioco a nessuno. Le grandi realtà musicali geografiche nascono sempre da una presa di coscienza collettiva. Prima o poi succederà anche qui.
Poi posso portare il mio esempio. Non voglio insegnare a nessuno però lo metto in campo.
Credo che, come si debba essere rigidi sulla differenza tra il professionista e l’amatore, sia necessario essere molto flessibili sulla musica che si propone.
Troppe band giovani cadono in una trappola. Ovvero proporre o musica fin troppo alternativa e chiudersi in questa spirale o puntare tutto sul commerciale bieco e chiudersi in un’altra spirale.
Io sono convinto che si debba fare musica innovando e cercando la qualità ma allo stesso tempo essere consapevoli che noi facciamo musica per farla ascoltare agli altri, non per noi stessi. E dobbiamo cercare, tenendo una buona qualità, di raggiungere la sensibilità delle persone.
Altrimenti la sperimentazione e il mercato saranno sempre più due mondi in conflitto.
Negli anni ’60 e ’70 non era così. E quelli sono ancora considerati gli anni d’oro della musica leggera. Siamo finiti in questa situazione a causa dei discografici, dei network ma anche dei musicisti, non nascodiamocelo.

Dove si può acquistare in rete il tuo singolo?
Il singolo è già in vendita su Amazon.com e su napster.com. Nei prossimi giorni sarà anche su Tunes.