
Dopo avere affrontato il tema del terzo mandato per i Sindaci (leggi), in modo critico (e mantengo la posizione nonostante la decisione, a mio parere infausta, di concederlo), vorrei sottoporre ai lettori di Parmadaily un altro tema che ritengo fondamentale nella percezione di ciò che oggi viene considerata “politica”.
Se la politica, soprattutto a livello locale, diventa il “pronto soccorso” delle esigenze dei cittadini – dalle più grandi alle più spicciole – forse non è più politica, ma diventa una forma impropria di servizio sociale. Potrebbe anche rappresentare un servizio importante, a volte addirittura un “salvavita” – l’attività nella Protezione Civile, nella Pubblica Assistenza o nell’Avis lo sono senz’altro – ma non è politica.
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Emerge un problema: occorre quindi ridefinire il concetto di “politica”, soprattutto a livello locale, dato che molti rappresentanti politici locali sembrano interpretare h24 il ruolo di “Mr Wolf” di “Pulp Fiction” (leggi), con esiti altalenanti tra il riuscito e il patetico.
Il politico come colui che risolve i problemi dei cittadini. I cittadini che si rivolgono al politico per risolvere i loro problemi. Tutto bene, ma manca un elemento, direi non secondario: il “bene comune”. Ovvero quello che supera il “do ut des”, in ragione di un interesse più alto, che racchiude l’interesse di tutta la comunità ad evolvere secondo principi e linee condivise, almeno dalla maggioranza qualificata della stessa.
La politica dovrebbe essere piuttosto, in tal senso, il “pronto soccorso” della democrazia, o meglio la “scuola” dove la democrazia viene insegnata e praticata, fino ad entrare nel DNA delle generazioni che si susseguono.
Altrimenti, se il principio di un Ente pubblico, dallo Stato al Comune, è la sola efficienza e responsività alle necessità private o circoscritte, anche una buona dittatura può raggiungere lo scopo …anzi, tecnicamente, vista la mancanza di intoppi, può raggiungerlo prima e meglio.
Oggi è in crisi il principio stesso di democrazia. Sempre più gente ragiona sul principio del “basta che funzioni”, ovvero “basta portarla a casa”, per me, per la mia famiglia… e poco più.
Il concetto di “polis” è in profonda crisi, come quello di “bene comune”. Ma non in senso dialettico, non nella contrapposizione dialettica… il classico destra vs sinistra, per intenderci: è in crisi dalle fondamenta.
Da questa crisi, discende logicamente una conseguenza: oggi hai un Sindaco che rispetta i principi democratici e costituzionali… Domani non lo hai, ma tu non te ne accorgi neanche, preso come sei nel tuo privatistico “basta che funzioni”. Su scala più larga il principio rischia di valere per i Capi di Governo.
Non si percepisce il rischio di una deriva autoritaria.
A fronte di questo rischio, che riguarda la percezione stessa di democrazia, declinato in forma repubblicana – che contempla l’alternanza di governo tra visioni diverse in base ad elezioni democratiche – come valore fondante di una comunità, cosa si può fare?
Risposta impegnativa, ma intanto serve semplicemente (mica tanto…) tornare ad insegnare il valore irriducibile della democrazia: alle miriadi di opportunità formative in ambito tecnico e tecnologico (più che formazione, direi implementazione normativa), occorre affiancare le fondamentali scuole di politica.
Occorre tornare all’ABC: le giovani generazioni devono porsi la questione morale del governo di una comunità. Considerare innanzitutto l’educazione civica come una materia fondamentale e soprattutto permanente.
Anche perché, vedendo come si muovono le generazioni ormai lontane dalla scolarizzazione – quelli che dovrebbero “dare l’esempio” – talvolta non sembra di avere a che fare con persone educate alla democrazia.
Alberto Padovani