
03/10/2012
Il sondaggio pubblicato nei giorni scorsi dal Tg La7 di Enrico Mentana stima il consenso del M5S a livello nazionale pari al 16,5%. In una sola settimana Grillo ha guadagnato il 2,5% dei voti, sulla scia degli scandali delle Regione Lazio, delle dimissioni della Polverini, di Fiorito, delle indagini della Guardia di Finanza nelle Regioni Emilia Romagna e Piemonte. Per il M5S le ruberie di Batman sono manna, i comportamenti altrui garanzia di consenso, i propri le uniche minacce.
Vedo in un certo settarismo culturale ed organizzativo i limiti del M5S, nella sua tendenza autoreferente ad abbarbicarsi su se stesso, nella fatica di riuscire a definire una visione compiuta della società che vada al di là delle bandiere fondative del Movimento.
Nelle scorse settimane, a seguito dell’outing fuori onda di Favia, abbiamo assistito ad un duro scontro mediatico dentro il MoVimento sul tema della democrazia e delle regole, dello Statuto o Non Statuto, del ruolo di Casaleggio, di chi sarà mai colui che fisicamente scrive sul blog di Grillo. In realtà si è trattato di un dibattito tutto intestino ai militanti, perché alla stragrande maggioranza degli elettori del M5S non potrebbe fregargliene di meno delle differenti interpretazioni del Non Statuto, dal momento che non vota per Grillo perché auspica che i militanti facciano delle votazioni online tra di loro (anzi, magari le deride pure), ma per abolire i privilegi della Casta di centrodestra e di centrosinistra, per mandare affanculo la vecchia politica corrotta e i suoi politici di professione, per tagliare il finanziamento pubblico a giornali e partiti, i rimborsi elettorali.
Non voglio minimizzare l’accaduto ma ritengo che la polemica di Favia abbia prodotto danno al M5S non tanto per il contenuto delle sue rivelazioni ma perché ha fatto emergere della litigiosità e delle divisioni “correntizie” nel M5S, che quindi è stato assimilato alla vecchia politica e ai vecchi partiti a cui dice di contrapporsi. Nel merito, però, quel fuori onda che ha incendiato le pagine facebook dei MeetUp grillini, agli elettori è apparso come una goccia nel mare, una diatriba stucchevole rispetto a Penati, Lusi, Cuffaro, Lombardo, Fiorito, Minetti, Formigoni, Trota, Belsito.
A livello locale lo spartito è il medesimo: come ho scritto di recente (leggi), quantomeno a livello di comunicazione il M5S dà l’impressione di avvitarsi in modo esclusivo sui suoi temi tradizionali, quale l’inceneritore che non sarò certo io a banalizzare ma che non è percepito prioritario dai parmigiani come ha dimostrato il primo turno delle elezioni comunali nel quale i candidati espressamente a favore dell’impianto (Bernazzoli, Ubaldi, Buzzi) hanno raccolto più del 60% dei consensi. Ma nonostante ciò, non passa giorno che il Comune non parli della grande battaglia campale del forno, magari trascurando la visione lunga della città e talvolta pure le manutenzioni quotidiane. Jim Morrison darebbe a Pizzarotti il seguente consiglio: “Guarda le piccole cose perché un giorno ti volterai e capirai che erano grandi”.
Il mio timore è che la crescita del M5S sia stata troppo repentina e che i suoi attivisti non l’abbiano compresa appieno: pensare di rappresentare oggi il 16,5% dei voti, e domani magari più del 20%, con gli stessi argomenti con cui si galvanizzava lo zoccolo duro di quando si era al 2% dimostrerebbe lentezza a cogliere il senso e la forza del cambiamento, con il rischio di costituire un’opzione politica occasionale e passeggera sull’onda della rabbia e della indignazione.
Compiere uno scatto in avanti nella proposta a 360° e negli orizzonti è quindi la sfida che attende il M5S se vuole diventare l’alternativa vincente, credibile e duratura alla vecchia politica e non essere sempre Fiorito-dipendente.