
Iniziamo con uno zoom degno di Google Earth. Athens, Georgia, inizio anni 80, provincia americana, per chi ha seguito lo Spielberg di quegli anni non occorre aggiungere altro.
Il luogo, a parte il nome classicheggiante, è marginale rispetto ai luoghi e Stati che contano negli States, sia a livello economico che politico che, in questo caso, artistico.
La scena musicale di Athens aveva generato fino ad allora pochi nomi di rilievo, tra cui i simpatici e genialoidi B52’s, band che nel periodo new wave aveva portato un sound originale basato sul recupero di sonorità fifties e sixties, ma che alla lunga non resterà nella storia del rock, come invece saranno destinati a restarci con un posto rilevante questa band che si presenta, già dal nome, nel segno dell’originalità e della stranezza… Rapid Eye Movement, subito riassunto in R.E.M.
Un nome ispirato alla rapida rotazione dei bulbi oculari che può avvenire durante la fase più profonda del sonno, in occasione di attività oniriche.
Un nome potente ed evocativo, che lasciava trapelare una forza – una specie di segreto di fabbrica – che si sarebbe espressa anno dopo anno, album dopo album, almeno fino all’inizio degli anni 2000.
Una forza, quella dei R.E.M. che parte da lontano, da un sussurro ovvero da un “Murmur”, opera quasi prima della band di Stipe, Mills, Berry e Buck (anche questi cognomi così secchi e americani contribuiscono a creare l’immagine di un gruppo compatto come un monolite, e assai poco propenso al divismo), preceduta da un EP – “Chronic Town”, che già lasciava intendere un sound innovativo e un imprinting decisamente originale.
Bene, per “Murmur” si può già parlare esplicitamente di capolavoro… Parola che sembra spesa bene soprattutto a distanza di tempo, risentendolo oggi, a più di 40 anni dalla pubblicazione. Se ne rendono immediatamente conto quelli della rivista “Rolling Stone”, valutando l’album come il migliore del 1983 (davanti a “War” degli U2, “Thriller” di Michael Jackson, “Sinchronicity” dei Police… solo per citarne tre piuttosto impegnativi in termini di confronto).
Già oltre la new wave (sebbene ne condividano tutto il carattere sperimentale) – negli anni in cui si consacravano i Cure, i Depeche Mode, i Simple Minds e altri gruppi britannici – i R.E.M. si insinuano fascinosamente come apripista del futuro indie rock, con un sound minimale, impastato di country e jingle-jangle, di colori e profumi quasi percepibili dal sud degli USA (e di certa America centrale), senza però compromettersi con il già sentito, grazie ad una certa atemporalità sintetizzata ad esempio in “Perfect circle”, uno dei tanti gioielli di “Murmur”.
Non per niente titoleranno uno dei loro lavori di maggior successo “Out of time”, consapevoli di poter attraversare e avvincere diverse generazioni di ascoltatori.
Che, ascoltando “Murmur”, si tratti di qualcosa di nuovo, che ancora oggi mantiene la tempra originale, lo si percepisce chiaramente dall’iniziale “Radio free Europe”, che il sottoscritto, con chiara faziosità, metterebbe in competizione con l’”Inno alla gioia” di Beethoveen per rappresentare (e rilanciare) la UE… O quantomeno con l’opzione di renderle eseguibili in sequenza.
“Pilgrimage”, più sperimentale che acustica, sposta il tiro verso territori musicali poco esplorati, con un ritornello che evoca senza tributare, come in altri pezzi, decenni precedenti… Così come la chitarra si rifà direttamente ai Byrds (che grande influenza hanno avuto sulla produzione chitarristica di Buck) e i cori contengono già echi di Beach boys, ma entrambi i richiami non provocano nostalgie, perché le schegge di passato sono potentemente gettate avanti.
Gli strumenti, usati in modo molto percussivo, ma mai troppo aggressivo, creano contrappunti cangianti, in cui si trova a suo agio la voce magnetica e sicura di Stipe, a creare una poetica che si esprime nelle canzoni, ma che lascia intendere profondi percorsi creativi, ben oltre la musica.
E in effetti i primi R.E.M. sanno essere, già dalle curate cover dei loro (allora) dischi, artisti multimediali, in primo luogo Michael Stipe, che infatti si occuperà anche di arte e cinema.
Il sound si tiene vivo, anzi giocoso: basti sentire “Laughing”, “Catapult”, “We walk”, per sentirsi immersi in un intreccio fiabesco, con i R.E.M. in versione folletti intenti a celebrare una festa per risvegliare il bosco ritratto in copertina (bellissima).
Oltre a “Radio Free Europe”, l’altro singolo tratto dall’album sarà la stupenda ballad dal sapore psichedelico “Talk about the passion”.
La festa continuerà con esito crescente nei successivi album (il più sottovalutato, eppure meraviglioso, è “Lifes rich pageant”), fino alla consacrazione di fine anni 80 e inizio anni 90 come una delle band più rilevanti a livello internazionale.
Ma a noi piace ripartire dalle origini e rivivere innanzitutto questo favoloso rito di iniziazione.
Lato A
1. Radio Free Europe
2. Pilgrimage
3. Laughing
4. Talk About the Passion
5. Moral Kiosk
6. Perfect Circle
Lato B
1. Catapult
2. Sitting Still
3. 9-9
4. Shaking Through
5. We Walk
6. West of the Fields
Recensioni necessarie #5
Alberto Padovani