Nuova tecnologia a disposizione della Cardiologia interventistica dell’Ospedale Maggiore di Parma per aprire arterie particolarmente calcificate e complesse di fronte alle quali le tecniche tradizionali si sarebbero dovute arrendere. Si chiama litotrissia ed è l’applicazione evoluta alla cardiologia interventista della tecnologia utilizzata da molti anni per la cura della calcolosi renale. Gli ultrasuoni, emessi da un palloncino posizionato nell’arteria coronarica, sbriciolano le calcificazioni esistenti aprendo la strada per il successivo posizionamento dello stent che garantisce l’apertura della coronaria stessa.
Il primo intervento all’Ospedale di Parma con questa tecnica è stato eseguito dai cardiologi interventisti Iacopo Tadonio, Giorgio Benatti, con il responsabile della Cardiologia interventistica Luigi Vignali affiancati dall’equipe infermieristica, formata da Marco Savi, Giacomo Fileccia e dalla coordinatrice Marina Dazzi.
“Sono convinto che la litotrissia intravascolare – ha dichiarato Luigi Vignali – sia una delle innovazioni recenti più importanti nel campo dell’angioplastica coronarica, dotata di elevati standard di sicurezza e di efficacia e con ampie possibilità future anche al di fuori delle coronarie, come ad esempio nel trattamento delle arterie degli arti inferiori, quando molto calcifiche, per permettere la riparazione della valvola aortica. Procedure che aumentano le probabilità di riuscita degli interventi e riducono i tempi di recupero per i pazienti”.
A spiegare l’intervento il cardiologo Iacopo Tadonio: “Nel nostro primo paziente, affetto da angina a causa di un’ostruzione coronarica, l’angioplastica condotta inizialmente in maniera convenzionale con l’ausilio di una specie di piccolissima fresa intracoronarica, non era riuscita ad aprire bene l’arteria a causa del calcio residuo. La litrossia ci ha consentito invece di erodere il calcio profondo. Queste due tecnologie di “frattura del calcio” possono essere quindi utilizzate sia singolarmente che in maniera complementare. La disponibilità e l’efficacia dello Shockwave, attraverso le onde a ultrasuoni, ha permesso di creare microfratture del calcio e di terminare la procedura posizionando tre stent coronarici medicati (piccoli tubi metallici a forma di rete che rimangono sulla parete vascolare) nell’arteria, gravemente malata, del paziente. Aumentando le probabilità di successo dell’intervento, come nel nostro caso”.