
TeoDaily – Le parole “Gesù” e “Cristo” non sono sinonimi, non sono interscambiabili, come invece purtroppo avviene spesso.
“Gesù” è il nome di persona di un uomo che nacque in Israele 2000 anni fa, “Cristo” è un titolo e significa “unto” come i Re, il Messia.
Se si leggono i Vangeli canonici uno dopo l’altro in ordine cronologico, partendo dal più vicino ai fatti, quello di Marco (scritto nel 70 dc), per arrivare a quello più lontano di Giovanni (90/100 dc), passando per Matteo e Luca, emerge chiaramente che le prime comunità cristiane stavano operando una progressiva riduzione dell’importanza della figura di Gesù e una crescita di quella di Cristo.
Noi non siamo abituati a leggere i Vangeli con un ordine e nella loro interezza, siamo soliti apprendere qualche episodio un pò di qua e un pò di là e non siamo in grado di distinguerli. Per noi i Vangeli sono di fatto un unico testo, più o meno confuso.
Gli esempi di questa “cristianizzazione” di Gesù sono tanti.
Con alcuni articoli (di cui il presente è il primo) argomenterò questa posizione facendo esempi a riguardo in merito alla passione di Gesù, che parte dal suo arresto per arrivare alla morte e resurrezione. Questa esegesi neotestamentaria sarà il modo con cui i lettori di TeoDaily si avvicineranno alla Pasqua che quest’anno cade il 20 aprile.
L’arresto di Gesù, appunto.

Nel capitolo 14 del primo Vangelo di Marco si legge: “Giunsero a un podere chiamato Getsèmani [..] e Gesù cominciò a sentire paura e angoscia. Disse ai discepoli: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”.”
Gesù qui è un uomo ha “paura”, è “triste fino alla morte”, cade a terra, chiede al padre di risparmiarlo, se Egli vorrà.
Poi arriva Giuda, il traditore: “E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: “Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta”. Appena giunto, gli si avvicinò e disse: “Rabbì” e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.“
In Marco è Giuda il protagonista della scena della cattura, è lui che conduce, bacia e fa arrestare. Gesù non parla.

In Matteo (capitolo 26) la scena nell’orto dei Getsemani è molto simile a quella di Marco (“Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà”). Anche quella del bacio di Giuda. Ma Matteo aggiunge una frase di Gesù che va incontro alla morte sapendo che potrebbe salvarsi, se invocasse l’aiuto del Padre (Allora Gesù gli disse: “O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?”).
In Luca (capitolo 22) Gesù è sofferente al punto che “gli apparve un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra.”
Gesù sanguina dal dolore, però non è lasciato solo come nei Vangeli di Marco e Matteo perchè un angelo venne per confortarlo.
Cambia la scena di Giuda: “Colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?“.
Gesù si definisce il “Figlio dell’uomo”, il Messia. Nei Vangeli di Marco e Matteo non si dichiara tale, era “solo” Gesù.
Il 4° Vangelo di Giovanni (capitolo 18), si sa, è molto diverso dagli altri tre sinottici.
Già nella sua premessa pone l’accento sulla natura divina di Gesù, che identifica con il Lògos («parola», «discorso») di Dio che sta con lui dall’eternità e ha partecipato alla creazione del mondo.

In Giovanni la scena dell’uomo Gesù che teme il “calice amaro”, cade, suda sangue non è neppure citata. A Giovanni non interessa nulla, e passa direttamente al tradimento di Giuda: “Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: “Chi cercate?”. Gli risposero: “Gesù, il Nazareno”. Disse loro Gesù: “Sono io!”. Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro “Sono io”, indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: “Chi cercate?”. Risposero: “Gesù, il Nazareno”. Gesù replicò: “Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano“.
In Giovanni non c’è nessun bacio di Giuda, il traditore è una presenza marginale a cui l’evangelista non dà valore senza poterla omettere. A cadere a terra sono le guardie, non Gesù. Gesù non ha paura, si fa avanti e dice “Sono io”. E’ lui protagonista della scena che va incontro alla morte per portare a compimento il disegno di Dio. Lui è l’agnello sacrificale, il Cristo. L’uomo Gesù è in secondo piano o inesistente.
In Marco Gesù è un uomo che non vuole morire, in Matteo “è triste fino alla morte” consapevole che se potrebbe salvarsi appellandosi al Padre, in Luca suda sangue ma si autodefinisce il Messia, in Giovanni Gesù è pienamente il Cristo, non ha paura e vuole portare a termine la sua missione, ovvero morire per la salvezza di tutti noi per poi risorgere nella gloria.