
Alle 8.45 di Martedì mattina dell’11 Settembre 2001, un boeing 767 dell’American Airlines carico di 74.000 litri di carburante si schiantava contro la torre nord del World Trade Center di Manhattan a New York. L’impatto, che lasciava una voragine in prossimità di quello che era l’80° piano del grattacielo che contava 110 piani, causò la morte istantanea di centinaia di persone e ne intrappolò altre centinaia nei piani superiori.
Mentre venivano avviate le operazioni di evacuazione di entrambi le torri che componevano il complesso del World Trade Center, le telecamere mandavano in onda le immagini in diretta di quello che inizialmente sembrava un incidente anomalo. Esattamente 18 minuti erano trascorsi dallo schianto quando un secondo boeing 767 della United Airlines apparve nel cielo soprastante per virare improvvisamente verso il World Trade Center, e abbattersi contro la torre sud all’altezza del 60° piano. La collisione provocò un’enorme esplosione che scagliò una pioggia di detriti ardenti sugli edifici e le strade sottostanti.
Quello che ancora non si sapeva era che quattro piccoli gruppi di terroristi islamici provenienti dall’Arabia Saudita e da altri stati mediorientali avevano preso il controllo di altrettanti jet per usarli come missili teleguidati. Finanziati dall’organizzazione estremista al Qaeda capeggiata dal miliardario saudita Osama bin Laden – già ricercato per gli attacchi alle ambasciate americane a Nairobi e Dar es Salaam del 1998 – essi avevano agito presumibilmente in rappresaglia per il sostegno americano dato ad Israele e la costante ingerenza militare e politica americana in Medio Oriente.
Alcuni dei terroristi avevano vissuto negli Stati Uniti per più di un anno e avevano preso lezioni di volo per acquisire la pratica necessaria a pilotare un velivolo su brevi distanze. Altri, introdottisi negli Usa nei mesi precedenti l’11 Settembre, avrebbero fornito la manodopera necessaria all’operazione. I 19 terroristi riuscirono facilmente a far passare taglierini e coltelli attraverso i controllo per la sicurezza in tre aeroporti della costa est e si imbarcarono in quattro voli diretti in California, scelti perché gli aerei con tale destinazione venivano riforniti al massimo di carburante necessario per un viaggio transcontinentale. Poco dopo il decollo, i terroristi presero possesso degli aeromobili con l’intenzione di schiantarli contro punti chiave dell’establishment americano.
Mentre milioni di persone in tutto il mondo seguivano in diretta i tragici eventi che si svolgevano a New York, il volo 77 dell’American Airlines sorvolava Washington per poi abbattersi sul lato ovest del Pentagono alle 9.45. Il combustibile fuoriuscito dai serbatoi divampò in un incendio gigantesco che portò ad un collasso strutturale di una parte dell’edificio. Complessivamente 125 militari e civili perirono al Pentagono insieme a tutte le 64 persone a bordo dell’aereo.
Poco meno di 15 minuti dopo l’attacco al Pentagono, la situazione a Manhattan prese una svolta catastrofica quando la torre sud del World Trade Center crollò disintegrandosi in un’enorme nuvola di polvere e fumo. Le strutture di acciaio del grattacielo, costruito per resistere a venti superiori ai 150 chilometri orari e in caso di incendio, cedettero alle elevatissime temperature raggiunte dalla combustione del carburante. Alle 10.30 anche l’altra torre del World Trade Center si schiantò al suolo. Complessivamente 2.977 persone morirono come risultato degli attacchi, di cui 2.606 nel crollo delle torri.
Fra queste ultime si contarono 343 vigili del fuoco e paramedici, 23 agenti di polizia di New York, e 37 agenti della polizia portuale che erano al lavoro negli edifici per evacuare coloro che erano rimasti intrappolati ai piani superiori. Negli anni sarà possibile identificarne solo 1.650, mentre solo sei persone presenti nelle torri del World Trade Center al momento del loro cedimento sopravvissero. Circa 10.000 furono i feriti che riportarono lesioni di vario tipo come conseguenza dell’attacco terroristico.
La vittima più giovane, Christine Lee Hanson, era una bambina di 2 anni e mezzo. Si trovava a bordo del volo della United Airlines che si schiantò contro la torre sud del World Trade Center. Era il suo primo viaggio in aereo insieme ai genitori, Peter e Sue Kim Hanson, diretti da Boston a Los Angeles dove Chistine avrebbe dovuto trascorrere una vacanza facendo visita ai nonni materni prima di andare a Disneyland.
Nel frattempo un quarto aereo diretto in California, lo United Flight 93 veniva dirottato 40 minuti dopo aver lasciato l’aeroporto Internazionale di Newark nel New Jersey. Poiché il decollo era avvenuto in ritardo rispetto all’orario previsto, i passeggeri avevano avuto modo di apprendere quanto accaduto a New York e Washington attraverso chiamate via telefono cellulare fatte a parenti ed amici.
In seguito al dirottamento, intuendo che l’aereo non stava facendo ritorno ad un aeroporto come i dirottatori sostenevano per mantenere la calma a bordo, un gruppo di passeggeri e assistenti di volo tentò di prendere nuovamente il controllo dell’aeromobile. E’ stata ricostruita la telefonata di Thomas Burnett, che disse alla moglie al telefono “So che stiamo tutti per morire. Ci sono tre di noi che stanno per fare qualcosa. Ti voglio bene tesoro”.
Todd Beamer fu sentito mentre diceva “Siete pronti? Muoviamoci”, mentre l’assistente di volo Sandy Bradshaw, chiamò il marito al telefono e spiegò che era riuscita ad entrare nella cucina di bordo dove stava riempiendo brocche con acqua bollente. Le sue ultime parole furono “Stanno correndo tutti in prima classe. Devo andare. Ciao.”
I passeggeri si scontrarono con alcuni dirottatori e si presume abbiano cercato di forzare l’entrata nella cabina di pilotaggio colpendo la porta con un estintore. L’aereo quindi si capovolse e precipitò al suolo alla velocità di 800 chilometri orari, per schiantarsi in un campo nei pressi di Shanksville in Pennsylvania. Erano le 10.10 del mattino e tutte le 45 persone a bordo rimasero uccise. Non è mai stato identificato il bersaglio del volo 93 della United, ma tenuto conto della traiettoria, si pensa che potesse essere diretto verso la Casa Bianca, il Campidoglio, o uno degli impianti nucleari della costa orientale.
Alle 7 di sera il presidente George W. Bush, che aveva trascorso la giornata in continui spostamenti per motivi di sicurezza, tornò a Washington e due ore più tardi pronunciò un discorso televisivo dalla Casa Bianca, dichiarando che “Gli attacchi terroristici possono scuotere le fondamenta dei nostri edifici più grandi, ma non possono toccare le fondamenta dell’America. Questi atti possono frantumare l’acciaio, ma non possono intaccare l’acciaio della determinazione dell’America”. In riferimento alla eventuale risposta militare degli Stati Uniti dichiarò che gli Usa non avrebbero fatto “nessuna distinzione tra i terroristi che hanno commesso questi atti e coloro che li ospitano”.
Negli anni sono nate varie teorie che hanno sostenuto che l’attacco non sia stato portato da terroristi fondamentalisti e sia stato invece il risultato di una cospirazione orchestrata dai servizi segreti americani, di altri paesi occidentali e del Mossad, per giustificare i successivi interventi militari in Medio Oriente. Sebbene sia un fatto provato che il governo di Washington e diverse società americane avessero avuto rapporti con la famiglia di Bin Laden, nessuna analisi ha finora prodotto prove che permettano di contestare la matrice fondamentalista degli attentati dell’11 Settembre.
Operazione Enduring Freedom, lo sforzo internazionale guidato dagli Stati Uniti per cacciare il regime talebano in Afghanistan e distruggere la rete terroristica di Osama bin Laden che aveva basi in quello stato, ebbe inizio un mese dopo gli eventi dell’11 Settembre 2001, precisamente il 7 Ottobre. Bin Laden fu ucciso durante un raid nel suo rifugio in Pakistan dalle forze Usa il 2 Maggio 2011.
Gli interventi militari americani ed europei in Iraq ed Afghanistan hanno provocato la destabilizzazione dell’area mediorientale senza riuscire a sconfiggere il terrorismo internazionale. La guerra in Iraq (2003-2011) ha prodotto 4.799 morti tra le truppe della coalizione e circa 30.000 tra gli insorti. Il Ministero dei Diritti Umani del governo Iracheno ha registrato almeno 250.000 vittime – morti e feriti – tra la popolazione civile. Un rapporto ONU del 2006 fissava il numero di rifugiati iracheni negli stati confinanti in almeno 1.800.000 unità, a cui va aggiunto un altro 1.600.000 di sfollati all’interno dell’Iraq. Un’altra relazione ONU del 2008 fissa il numero degli orfani del conflitto ad almeno 870.000.
La guerra in Afghanistan (2001-2013, anno del ritiro della maggioranza delle truppe) ha visto la morte di 16.000 uomini tra le forze di sicurezza afgane e 3.486 soldati della coalizione. Un numero imprecisato di combattenti talebani che oscilla tra i 25.000 ed i 40.000 sono morti. e le vittime civili, difficili da stabilire con certezza in un contesto dove mancano strumenti per registrare sistematicamente i decessi, sono state circa 20.000.
Nel vuoto cretosi dal ritiro delle truppe in Iraq sono subentrate con violenza dirompente le forze del califfato dell’Isis, capaci di soppiantare al Qaeda e ritagliarsi una spazio nell’area compresa fra la Siria dilaniata dalla guerra civile e l’Iraq settentrionale, impiantando una forma di organizzazione statale. Nel giro di pochi anni le ripercussioni di tali interventi militari hanno portato anche alla destabilizzazione del vicino nord africa, con sollevazioni in Egitto, Libia e Tunisia.
In tale scenario si assiste allo sviluppo di un paradosso drammatico ed assurdo allo stesso tempo, che vede l’esodo dai paesi del medio oriente, del nord e centro africa – questi ultimi non interessati direttamente dai recenti conflitti – di milioni di profughi che in numero sempre crescente si sottraggono alla povertà tentando di entrare a far parte di nazioni Europee e nord americane, espressione di quei contesti socio-politici che hanno sostenuto gli interventi militari che hanno destabilizzato i loro stati d’origine.
Tali migrazioni-invasioni di massa, che sono cronaca recente e su cui l’Europa non ha finora sviluppato una politica comune capace di fornire soluzioni, rischiano di portare al collasso alcune fra le più fragili economie europee, fra cui quella Italiana, e di perpetuare un sistema che ha condotto all’instabilità, senza risolvere alla radice il problema della destabilizzazione e dell’ineguale distribuzione delle risorse. Le conseguenze di quell’11 Settembre si ripercuotono ancora su di noi a 14 anni di distanza e, dato il contesto attuale, sembrano destinate a restarvi ancora per molto tempo.
Alessandro Guardamagna