22 luglio 1854, Parma in rivolta (di Stefano Gelati)

SMA MODENA
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Situazione politica del Ducato.

Il 26 marzo 1854, ci fu l’attentato al duca di Parma e Piacenza e degli Stati annessi Carlo III di Borbone, colpito con una lima al ventre mentre passeggiava in Strada Santa Lucia, l’attuale Via Cavour, il sovrano morì il giorno seguente. L’attentare venne individuato nel sellaio Antonio Carra, che riuscirà a fuggire in Argentina.

La moglie del duca ucciso, Luisa Maria di Borbone – Francia, assunse la reggenza del Ducato in nome del figlio Roberto, di soli sei anni.

La congiura da Torino a Parma.

Le indagini sull’attentato al duca furono condotte dal giudice Gabbi, che venne ucciso in un agguato la sera del 12 giugno 1854 a cui parteciparono un certo Guellio e la guardia daziaria Mattey, il giudice venne ucciso nonostante una colluttazione con i suoi aggressori, in essa il Mattey rimase ferito ad una mano. Egli andò a Torino dove si fece curare dal medico Pietro Cocconi, figura di maggior spicco della “colonia” di esuli parmensi di ispirazione mazziniana, che tirava la fila, molte volte facendo riferimento all’avvocato Olivieri, delle attività antiducali a Parma. Il governo piemontese lasciava fare perché aveva tutto l’interesse a “tenere in tensione” il Ducato parmense. In quegli ambienti fu studiato e attuato l’attentato a Carlo III del marzo precedente e anche organizzata la fuga in Argentina del Carra. Facevano la spola tra Torino e Parma, anche Luigi Bocchi, Davide Franzoni e Alessandro Borghini che ripararono nella capitale subalpina. Il luogo di ritrovo principale dei congiurati, a Parma, era la trattoria Croce di Malta, a fianco della Chiesa di San Tiburzio, in una laterale dell’attuale Via Farini, allora denominata Strada dei Genovesi. Lo scambio d’ informazioni, a volte, avveniva a Stradella, la città del Regno sardo – piemontese, appena oltre il confine del Ducato.

 

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Il piano della rivolta.

Giuseppe Mazzini in esilio a Londra, dispose che in un giorno di luglio di quel 1854, in tutte le città d’Italia avrebbero sparato “fucilate repubblicane”. La giornata venne fissata per sabato 22 luglio; Bocchi, Borghini, Franzoni e Mattey, dopo che furono avvisati gli altri congiurati a Borgo San Donnino (Fidenza) e nella capitale ducale, presero la strada di Parma.

Il piano prevedeva di provocare un incendio del Teatro Ducale, l’attuale Regio, all’alba, dopo che nella notte precedente i pompieri dovevano essere impiegati a domare vari incendi provocati nelle campagne attorno alla città, in modo che le truppe ducali fossero concentrate attorno al teatro per spegnere l’incendio al posto dei pompieri. I rivoltosi dovevano approfittare della situazione per assalire i depositi e le caserme, armarsi e persuadere la cittadinanza ad aggredire i soldati ducali concentrati presso il teatro, sperando che una parte consistente di essi avrebbe tradito e partecipato alla rivolta.

Già nella sera del 20 luglio, il piano era fallito perché il governo ducale venne informato, da varie parti, della imminente rivolta e fece occupare il teatro da un reparto militare, tenendo in allarme le truppe nelle caserme.

La stessa notte i quattro inviati da Torino arrivarono a Parma e nonostante il piano previsto fosse andato in fumo, su iniziativa di Borghini i congiurati si disposero comunque ad agire.

Sabato 22 luglio, giornata di sangue.

La mattina verso le otto tutti si concentrarono intorno o dentro i caffè Ravazzoni e Bersellini, nell’area della Strada maestra di San Michele, l’attuale Via della Repubblica. Mattey era al Bersellini e li avvenne l’episodio iniziale della giornata; una numerosa pattuglia di soldati comandati dal conte Alviti, dopo aver intimato ai rivoltosi di disperdersi, aprì il fuoco; i congiurati dovettero fuggire sui tetti, cercando di difendersi, prima di essere raggiunti,con lanci di tegole e mattoni, alcuni,tra questi Mattey. precipitarono combattendo.

I cacciatori del Tirolo, reparto austriaco, intanto, proseguirono a sparare contro le finestre, i negozi, i passanti, anche in Strada San Benedetto, l’attuale Via Saffi.

 

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Spari, getti di tegole e di pietre, nel frattempo, si ebbero anche intorno al caffè Ravazzoni, all’ angolo tra Strada maestra di San Michele e Strada di San Quintino, l’attuale Via XXII Luglio; si tirò sulla casa anche qualche colpo di cannone.

Gli ufficiali riuscirono a calmare le truppe, prese dalla frenesia del fuoco, tanto che più di una volta si erano sparate tra di loro.

Si raccolsero e si contarono i morti della giornata, furono quattordici, molti estranei alla battaglia, come Enrico Negroni di anni 12, chierico e il sacerdote Pietro Fornari. Il soldato ducale Gaetano Rugalli cadde vittima del colpo di un commilitone. L’unico rivoltoso morto negli scontri fu Guellio, l’attentatore del giudice Gabbi.

La repressione

Il consiglio di guerra presieduto dal colonnello Lanati, condannò a fucilazione immediata i soldati Bacchini e Poli catturati in “atto di ribellione” verso San Benedetto, nei pressi del caffè Bersellini.
A loro seguirono di pochi giorni le condanne e fucilazioni delle guardie daziarie Adami, Facconi e del calzolaio Bompiani, presi al caffè Bersellini.

Mattey, precipitato dal tetto, si procurò una frattura al femore, che nei giorni di prigionia si era molto aggravata; condannato a morte venne fucilato. legandolo ad una barella posta in verticale.
Un mese dopo vennero fucilati altri due capi della rivolta giunti da Torino, Borghini e Franzoni.

La duchessa reggente Luisa Maria mantenne mano fermissima di fronte alle istanze di grazia, anche quando la moglie del Franzoni riuscì a penetrare nella villa di Sala Baganza tentando di commuovere la sovrana.

Poi altri condannati a morte ebbero commutata la pena nella reclusione a vita o ai lavori forzati, tra questi Luigi Bocchi, l’ unico dei quattro inviati da Torino a Parma per organizzare la rivolta ad avere salva la vita.
Memoria e vendetta

Nei cinque anni che rimarranno di vita del Ducato, fino al giugno 1859, il governo della duchessa fu caratterizzato da riforme in vari campi, affrontò al meglio l’epidemia di colera del 1855, ma la rivolta del 22 luglio 1854 e le otto condanne a morte hanno “condannato” Luisa Maria ad essere ricordata dai Parmigiani come la “Gigiase”.

E’ andata molto peggio al colonnello conte Anviti, il comandante delle truppe ducali impiegate in quella giornata di sangue. Dopo la fine del Ducato e l’annessione al Regno sardo – piemontese, riparò in Romagna, ma il 5 ottobre 1859, pensando di non avere conseguenze, decise di tornare in treno nella natia Piacenza.

Nel viaggio venne riconosciuto e alla stazione di Parma fu atteso da una folla assetata di sangue, che ebbe il sopravvento anche sui Carabinieri. Anviti fu linciato e ucciso; il suo cadavere venne trascinato fino al centro della città e smembrato. Il fatto ebbe grande risalto sulla stampa, non solo locale, del tempo.

Stefano Gelati