
Il 3 novembre 1918 l’Austria-Ungheria accetta l’armistizio con gli Alleati. Le truppe del Regio Esercito italiano entrano a Trento. L’armistizio venne siglato nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino a Padova.
Il mattino del 3 novembre le truppe italiane dilagavano oltre le linee austriache mentre la delegazione austriaca raggiungeva Villa Giusti dove il comando italiano si sarebbe più tardi accordato con von Webenau, per l’interruzione delle ostilità 24 ore dopo la firma del trattato. L’armistizio fu firmato a Villa Giusti alle 15:20, con la clausola che sarebbe entrato in vigore 24 ore dopo, alle 15:00. Solo dopo la firma il generale Weber informò che alle truppe imperiali era stato dato l’ordine di cessare i combattimenti. Chiese pertanto l’immediata cessazione delle ostilità. Il generale Badoglio rifiutò in modo netto e minacciò di proseguire le ostilità. Fu così che le armi cominciarono a tacere il giorno 4 di novembre, verso le 4 del pomeriggio.
L’armistizio fu quindi effettivo solamente 36 ore dopo che il comando austro-ungarico aveva dato unilateralmente l’ordine di cessazione delle ostilità alle sue truppe, che peraltro non avevano alcuna intenzione di condurre operazioni di combattimento. Questo diede successivamente adito a svariate polemiche, in quanto l’esercito italiano fu accusato di aver ottenuto una vittoria “contro un esercito che non combatteva”; d’altra parte l’esercito imperiale aveva già cessato di esistere come forza combattente con il 28 ottobre e l’inizio della ritirata.
Il bilancio della battaglia per l’esercito austriaco fu dopo i cinque giorni di combattimenti di 30 000 tra morti e feriti, contro 400 000 prigionieri. Il giorno 3 novembre il comando dell’esercito austro-ungarico aveva eseguito gli ordini di von Webenau deponendo le armi. Ci furono proteste da parte austriaca, che sosteneva che ogni soldato austro-ungarico, catturato dagli italiani dopo la mattina del 3 novembre avrebbe dovuto essere restituito alle truppe di appartenenza, ma gli italiani non ritennero rilevante questa protesta, in quanto l’armistizio non era ancora entrato in vigore; pertanto avviarono tutti gli effettivi catturati fino alle ore 15 del 4 novembre ai campi di prigionia.
Una delle armate italiane a effettuare catture consistenti fu quella dell’Isonzo. Alle tre del pomeriggio un centinaio di bersaglieri avevano potuto raggiungere Trieste secondo gli ordini, senza combattere. Poco oltre, verso il confine con la Slovenia, si trovava il grosso delle divisioni del generale Wenzel Freiherr von Wurm, che si stava ritirando dalla Craina dirigendosi verso Nord, Nord-Est ed Est. Mentre la colonna dell’esercito austroungarico si ritirava attraverso le montagne, gli italiani ebbero l’occasione di catturare reparti di cavalleria, trasporto truppe e ciclisti. Così fu per la 34 e 44 divisione in Val Canale.
Molto spesso gli ufficiali e la truppa non erano informati dai loro comandi della possibilità di un attacco ed erano in tale stato di abbattimento e così sorpresi dagli attacchi nemici, che si lasciavano catturare facilmente, abbandonandosi al loro destino. Il 3 novembre, mentre il tricolore veniva issato sul castello di Trieste e sul Doss Trento, le montagne ad est ed a sudovest di Trento erano ancora in mano austroungarica. Dal Passo del Tonale e dalla Val di Non furono radunate, tra Trento e Bolzano, le truppe austroungariche che erano state catturate mentre si dirigevano a nord.
Un ulteriore escamotage da parte dell’Austria Ungheria fu la cessione della flotta al nuovo Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi, effettuata il 31 ottobre, per non doverle consegnare ai vincitori. Il giorno dopo un attacco, attuato dagli incursori della Regia Marina (ignari del cambiamento di bandiera) e noto come impresa di Pola affondò la corazzata SMS Viribus Unitis, ancorata nel porto di Pola insieme alla gemella SMS Tegetthoff, ed il vicino piroscafo Wien.
Nel dopoguerra alcune fonti austriache non riportarono l’affondamento come una propria sconfitta, in quanto sostennero che le navi “non erano più austroungariche”, ma questo fatto è smentito dalle condizioni del trattato di pace che assegnarono le navi superstiti della flotta alle varie potenze vincitrici, le quali le misero in servizio nel caso delle unità leggere o incrociatori (per esempio Italia e Francia con i cacciatorpediniere della classe Tatra) o avviarono alla demolizione come per le corazzate della classe Tegetthoff, la cui capoclasse fu demolita dall’Italia nel 1920 e la SMS Prinz Eugen affondata come bersaglio dalla flotta francese in Atlantico durante una esercitazione.