30 anni di parmigianità, di salotti della “Parma che conta”, di nulla (di Andrea Marsiletti)

SMA MODENA

La mensa Camst allo Spip è una chicca della nostra città.

Conserva quel fascino intellettuale delle mense dei quartieri industriali dove trovi il padrone, il dirigente, il colletto bianco e, se sei fortunato oppure anticipi il pranzo alle 12-12.30, puoi collettivizzare il tavolo con qualche operaio.

E tra un piatto di spaghetti “cacio e pepe” e uno di “penne all’arrabbiata” senti parlare di tutto, di turni di lavoro, commesse importanti, intelligenza artificiale, pettegolezzi da ufficio, commenti sulla cucina Camst (sempre positivi per quel che mi riguarda), fantacalcio, financo di teologia.

E si parla anche di città.

Voglio condividere con voi il pranzo di qualche giorno fa in cui ho chiesto ai miei commensali: mi citate un’idea forte, originale, di prospettiva sulla città elaborata a Parma negli ultimi 30 anni dai mondi politico, culturale, sportivo, universitario, dai vari Think Tank o sedicenti intellettualotti parmigiani che sia meritevole di essere ricordata o su cui valga la pena riflettere più di 5 minuti?

Io la risposta la conoscevo già, e ho avuto l’ennesima conferma: silenzio tombale.

Se ci pensate bene Parma, che si crede “superiore” e “ducale”, da decenni non è in grado di esprimere nulla di innovativo a qualsiasi livello, che non siano produzioni industriali di salumi, formaggi, pasta, passata di pomodoro, farmaci e shampoo o servizi di eccellenza che sostengono la nostra economia e le nostre famiglie. L’ultima idea di città (non scendo nel merito) è stata quella dell’ex sindaco Ubaldi che teorizzò una Parma da 400.000 abitanti in grado di attrarre funzioni primarie e primeggiare nella competizione con gli altri territori. Da allora poco, direi nulla. Nei migliori dei casi tanta ordinaria amministrazione. Riprogettare il centro storico, ad esempio, ripensando completamente i servizi intorno alla sua pedonalizzazione avrebbe potuto essere un’idea. Niente da fare, troppo difficile, troppo di rottura, e così oggi siamo all’agonia dei P-Days.

Al di fuori delle formidabili capacità delle sue migliori aziende e cooperative da tempo Parma è una città piatta, superficiale, qualunquista, autoreferenziale.

E’ deprimente ma è così, purtroppo.

Ma perchè è così?

Perchè è una città che pensa di poter vivere di rendita, replicando se stessa e percorrendo sempre i soliti schemi, litanie, luoghi comuni, anticamere, cortigianerie. Al momento decisivo manca il coraggio di rischiare qualcosa di nuovo, di accettare lo scontro e quindi di farsi male. Il riflesso incondizionato è lasciare tutto com’è, se non schierarsi in difesa dello status quo, illudendosi così di tutelare la città e sopratutto di tutelare se stessi.

 

† Stralciare il Vecchio Testamento? Un’eresia necessaria (di Andrea Marsiletti)

 

Parma è una città vecchia. E quando la palla viene paternalisticamente passata ai giovani parmigiani questi rivelano un piattume sorprendente. Se oggi dovessimo indicare un “giovane” sotto i 30 anni che si sia distinto per idee nuove online o offline, anche abbia aperto una pagina Facebook o profilo Instagram dai quali sia uscito qualcosa di creativo e utile per Parma, o dimostrato voglia di mettersi in gioco e di osare e sfidare la nomenclatura della città, non dico per abbatterla ma quantomeno per non esserne una pedina strumentale, che se dice qualcosa qualcuno lo sta ad ascoltare per davvero, che nome fareste? A me non viene in mente nessuno. Sono certo neppure a voi. A me forse uno, inconfessabile.

I media locali sono complici di questo andazzo (ParmaDaily incluso, ovviamente, diventato un sito teologico ed escatologico, trascendente più che immanente), esaltano l’ordinario, cercano di rianimare una Parma che non c’è più. Non hanno nè la voglia, nè il peso, nè le capacità per incidere e determinare.

 

Beirut, anatomia di una città ferita (di Francesca Riggillo)

 

Per non parlare dei fantomatici “salotti di Parma”, che non spostano 1 voto che sia 1 da un bel pò, che continuano a ritrovarsi illudendosi di decidere le sorti della città perchè c’è in giro qualcuno che ancora non li ha squattati, li considera e quindi asseconda. Se anche questi ultimi ingenuoni aprissero gli occhi ai salottieri non rimarrebbe che darsi appuntamento in qualche trattoria a mangiare i tortelli d’erbetta a San Giovanni e a parlare in dialetto dei bei tempi che furono. Ecco, ai salotti della “Parma che conta” lascerei la scelta delle medaglie d’oro di Sant’Ilario… il nulla che sceglie il nulla, il vecchio che cerca di rianimare il cadavere di quella che per loro è la “parmigianità”.

Sono troppo severo?

Prima di pronunciare un sì auto-assolutorio, ditemi, nel merito, dove sbaglio.

Stop alle banalità, please.

Andrea Marsiletti