
Il 30 marzo 1867 l’Alaska viene venduta dalla Russia agli Stati Uniti per 7,2 milioni di dollari.
L’acquisto dell’Alaska fu un accordo internazionale stipulato tra gli Stati Uniti d’America e l’Impero Russo nel 1867 per iniziativa del Segretario di Stato William H. Seward, tramite il quale gli Stati Uniti acquisirono il territorio dell’odierno Stato federato dell’Alaska.
Complessivamente il territorio acquistato aveva un’estensione di circa 1.600.000 km².
I russi erano insediati in 23 villaggi, sparsi per le isole o sulle coste meridionali. Le piccole stazioni ospitavano, di solito, 4 o 5 russi incaricati della raccolta delle pelli, lì recate dagli indiani, e del relativo immagazzinamento, in attesa delle navi mercantili che facevano servizio di raccolta.
A fronte di tale rada e militarmente indifendibile colonizzazione, l’Impero russo temeva di essere costretto, prima o poi, a cedere l’ampio e spopolato territorio senza compensi all’ingombrante vicino britannico, padrone del Canada. A tale considerazione strategica si aggiunse l’opportunità finanziaria legata alle presenti difficoltà della corte russa. Accadde così che lo zar Alessandro II decise di cederlo agli Stati Uniti, una potenza all’epoca decisamente meno ingombrante dell’Impero Britannico.
Dell’affare venne allora incaricato l’ambasciatore a Washington, il barone Eduard de Stoeckl, che, all’inizio del marzo 1867, aprì delle negoziazioni con il Segretario di Stato William H. Seward, con il quale aveva buone relazioni. Le trattative si conclusero dopo un’ultima riunione, protrattasi un’intera notte, ed il trattato venne firmato alle 4 del mattino del 30 marzo 1867. Il prezzo d’acquisto venne fissato in 7.200.000 dollari americani (equivalenti a circa 121 milioni di dollari del 2016). L’opinione pubblica americana accolse piuttosto sfavorevolmente l’affare: era un mondo selvaggio e gelato dichiarò, ad esempio, la New York Tribune; l’Alaska venne variamente definita la follia di Seward, la ghiacciaia di Seward o lo zoo degli orsi polari di Andrew Johnson (il presidente in carica).
Il trattato venne sostenuto, anzitutto, dal Segretario di Stato William Seward, sostenitore dell’espansione territoriale degli Stati Uniti e poi dal presidente del comitato affari esteri del Senato Charles Sumner. Il loro argomento strategico aveva parecchio a che fare con la recentemente conclusa guerra di secessione: l’Impero russo si era allora dimostrato un utile alleato, specie se paragonato al Regno Unito, che, al contrario, si era quasi apertamente schierato con i Confederati. Pareva dunque saggio aiutare San Pietroburgo in una faccenda tutto sommato marginale, evitando al contempo un rafforzamento della colonia britannica del Canada: l’influente New York Tribune scrisse che in una parola, è una manovra al fianco sul Canada.
Considerazione ancora più importante, l’acquisto consentiva assai bene di ribadire la dedizione statunitense alla Dottrina Monroe: esso, scrisse un editorialista del New York Herald, era una maniera per lo zar Alessandro II, di segnalare a Londra e Parigi che San Pietroburgo non intendeva intraprendere attività su questo continente americano. Non bisogna infatti dimenticare che la Francia di Napoleone III era appena stata sconfitta nel tentativo di approfittare della guerra di secessione per mettere sotto controllo il Messico, ponendo sul trono lo sfortunato Massimiliano d’Asburgo, fucilato dagli insorti messicani (ma con il compiaciuto consenso del presidente statunitense Johnson), di lì a poche settimane, il 19 giugno 1867.
L’acquisto venne ratificato dal Senato degli Stati Uniti il 9 aprile 1867, con 37 voti a favore e 2 contrari. Il pagamento, tuttavia, venne sbloccato solo un anno più tardi, a causa dell’opposizione della Camera dei rappresentanti: essa cedette solo nel luglio 1868, con 113 voti a favore e 48 contrari.
La cerimonia di passaggio dei poteri avvenne a Nuova Arcangelo il 18 ottobre 1867. Una truppa, composta sia da militari russi che americani, fece una piccola parata di fronte alla residenza del governatore. La bandiera russa venne ammainata e la bandiera statunitense venne issata, salutata da qualche salva d’artiglieria. Le nuove truppe si installarono nelle caserme ed il generale Jefferson C. Davis stabilì la propria residenza nella casa del governatore. La maggior parte dei russi rimpatriarono, con l’eccezione di qualche commerciante di pellicce e di qualche prelato ortodosso.