Restaurato il monumento funebre di Nicolò Paganini

29/10/2013
h.13.00

Il restauro del monumento sepolcrale di Nicolò Paganini che presentiamo oggi – ha introdotto l’assessore alla Cultura e Servizi Cimiteriali Laura Maria Ferraris rientra in un programma di valorizzazione del patrimonio artistico, teso a ribadire l’importanza di un senso civico, che passa anche attraverso la cura e il mantenimento di monumenti come questo”.
Questo intervento – ha aggiunto Adalberto Costantini, Amministratore Unico ADE spa – si inserisce in una serie di azioni di riqualificazione delle strutture e di sensibilizzazione per la valorizzazione dei beni storici e architettonici all’interno del Cimitero”.
L’intervento, lungo e complesso – ha ricordato Giancarlo Gonizzi, coordinatore Progetto Città della Memoria – ha permesso di riportare al primitivo stato un luogo caro ai musicisti e agli appassionati, méta regolare di visitatori provenienti da tutto il mondo”.
Alla cerimonia era presente anche il pronipote del maestro, Niccolò Paganini, musicologo e direttore di coro, Barbara Zilocchi, architetto progettista e direttore lavori del restauro, Paola Madoni, Soprintendenza ai Beni Architettonici  e Paesaggistici di Parma e Mariangela Giusto, Soprintendenza ai Beni Artistici, che hanno spiegato i dettagli storico-tecnici del complesso intervento, che trovate di seguito.
Nonostante la fama del musicista, la costruzione della tomba-monumento di Nicolò Paganini non risulta particolarmente documentata, né si ha notizia di qualche evento commemorativo immediatamente dopo la sepoltura.
La salma imbalsamata, dopo vari spostamenti fu trasportata il 9 novembre 1876 al cimitero della Villetta di notte e in tutta fretta, per essere sepolta nell’attuale sepolcro, voluto dal figlio Achille, su progetto attribuibile all’architetto Sante Bergamaschi (1827-1902).
Solo diciassette anni dopo fu documentata con certo clamore la visita del celebre violinista boemo Franz Oudriček e nel 1940 la città di Parma ne ricordò il primo centenario della morte, insieme a Bodoni e Parmigianino, con un discutibile restauro. E’ molto probabile che in quella occasione risalga il più esteso intervento sul monumento, con il rifacimento della trabeazione modanata in malta cementizia e la perdita quasi totale della trabeazione in ossatura di laterizio, la prima pesante ripresa dei dipinti della cupola, realizzati vent’anni prima.
Infatti con il primo documentato intervento, del 1923, si cercò di risolvere le “condizioni deplorevoli di statica e di pulizia” del monumento, dovuta anche all’impiego di una tecnica costruttiva povera per la cupola (laterizi in folio) e, con ogni probabilità si protesse la copertura “sfaldata” con lastre in piombo, come venne documentato sulla rivista Emporium nel 1931. All’intonaco “cadente” all’interno della cupola, si rimediò con la demolizione quasi totale dello stesso, insieme a quanto restava di probabili originari decori isolati e senza un articolato racconto figurativo. Sul nuovo intonaco furono dipinte le figure alate nell’atto di suonare la cetra, con evidenti assonanze stilistiche con quelle conservate nell’oratorio del cimitero, degli stessi anni.
E’ pur vero che, nonostante il peregrinare della salma, nonostante la iniziale trascuratezza dimostrata verso il monumento, il suo impianto architettonico e i materiali costruttivi, la sua collocazione all’interno dell’ottagono del cimitero, costituiscono innegabilmente un forte carattere celebrativo e il sottaciuto riconoscimento del valore sovra-storico del genio artistico di Paganini.
Simbolicamente, il tempio è costruzione evocativa della grandezza dell’artista quasi divina, il marmo e il granito che lo compongono sono i materiali celebrativi per eccellenza; la colonna a testa in giù, l’ouroboros, dipinto nelle volte laterali, la torcia fanno parte del repertorio del simbolismo funebre e, rappresentano la morte e la continuità del ciclo vitale nella memoria dei posteri.
Anche l’ architettura è celebrativa: il tempio, opera dagli stilemi neoclassici, – in origine doveva essere un tempio dorico tetrastilo con timpano sommitale, senza cupola è un tòpos nell’architettura celebrativa eclettica di fine Ottocento, eloquente rimando, insieme all’aquila e al violino, all’attività del defunto.
Dopo l’intervento del 2003, in cui venne rimossa la copertura in piombo della cupola e sostituita “da una soluzione protettiva di origine chimica”, furono rifatte modanature in malta cementizia e furono ripresi estesamente i dipinti degli anni venti, il monumento subì un velocissimo processo di degrado sia delle superfici intonacate, dipinte e in materiale lapideo, che nel 2012 resero necessario un intervento di conservazione e di prevenzione mirato.
Tra i più rilevanti fenomeni di degrado, la disgregazione delle malte di rivestimento della cupola e degli acrotéri angolari, aveva provocato infiltrazioni estese nella parte sottostante e conseguenti distacchi delle superfici dipinte all’interno, unitamente allo scivolamento delle lastre in piombo che ancora rivestivano la copertura orizzontale. Le malte cementizie con cui era stata ripresa la trabeazione poggiante sulle colonne, erano fratturate e la loro particolare tenacia avrebbe provocato il distacco e la caduta dell’ossatura portante in laterizio. Le stuccature e le riprese praticate sia sulle superfici lapidee che sull’interno della trabeazione si presentavano fragili e cromaticamente alterate, ma anche estese fino a celare finiture più antiche che, in origine, sulla trabeazione interna formavano una cromia a finto granito.
La protezione dell’intero monumento con un ponteggio dotato di copertura, attuata dall’Ufficio Tecnico di Ade, in attesa dell’ intervento in argomento ha rallentato il processo di degrado e ha facilitato le successive operazioni conservative.
Le fasi principali dell’intervento sono state sostanzialmente l’eliminazione della malta di rivestimento a base cementizia della cupola ed il suo rivestimento con malta a base di pozzolana pura, polvere di marmo e calce, ad elevato potere idraulico (forte indurimento in presenza di acqua), con l’intenzione iniziale di lasciare la cupola in vista, senza particolari protezioni, quindi il consolidamento delle superfici dipinte, intonacate e lapidee e la rimozione di stuccature cromaticamente alterate.
Le analisi scientifiche e stratigrafiche praticate hanno portato alla luce lacerti molto limitati delle cromie originarie della trabeazione e della cupola (film cromatico giallo chiaro) e i due ouroboros delle volte laterali, che sono stati conservati e lasciati in vista. E’ stato necessario ‘staccare’ insieme al loro supporto i dipinti della cupola pesantemente ritoccati dagli anni ’40 in poi, decoesi e polverulenti, nonostante i ripetuti tentativi di consolidarli con prodotto nano strutturato. I dipinti sono ora conservati presso gli uffici del cimitero. Ora ciò che rimane sono le linee monocrome, in parte riprese dell’impaginato decorativo, degli anni ’20 del secolo scorso. Le stuccature alterate, presenti tra i giunti dei blocchi lapidei (colonne/capitelli e trabeazione in granito, fascia di rivestimento in marmo) sono state rimosse e sostituite con malta di calce idraulica naturale e polvere di marmo; quindi le superfici sono state protette con cera microcristallina.
Infine, superati i dubbi circa la riproposizione di una copertura della cupola in piombo, anche grazie al rinvenimento di documentazione storica a testimonianza della sua presenza già in epoca antica per una indispensabile protezione, la cupola è stata rivestita con lastre di piombo, opportunamente staccate dalla muratura, grazie ad un’intercapedine formata da una struttura composita in legno che evita il contatto diretto della lamiera metallica alla superficie muraria e consente, tramite le tasche praticate alla base e sulla superficie delle lastre, la necessaria areazione.
I tempi di lavoro relativamente lunghi sono giustificati dal naturale processo di carbonatazione delle malte, dalla scelta meditata dei materiali, dalla necessità di eseguite prove e di attuare ogni singola fase nei momenti climaticamente più adeguati.
Il materiale documentario, le osservazioni e le operazioni effettuate durante la campagna di restauro del monumento, sono stati raccolti e classificati in SICaR (un GIS web-based, sistema integrato per la catalogazione del restauro). Sistema appositamente studiato per la gestione dei dati relativi ai cantieri di restauro e recentemente adottato dal Ministero dei beni culturali come standard da utilizzare nei cantieri. All’interno di questo archivio digitale sono stati implementati dati alfanumerici (storici, diagnostici, sugli interventi) e geometrici (mappature) che permettono: una fruizione da vari livelli di utenza, una documentazione tracciabile, una consultabilità in tempo reale e una trasparenza nel lavoro effettuato.
Nel programma sono stati inseriti i materiali elaborati per la conoscenza del monumento, quali grafici, fotografie, relazioni storiche e tecniche, analisi sui materiali, analisi stratigrafiche sugli affreschi, analisi dello stato di degrado, nonché le fasi di intervento sul manufatto.

IL MONUMENTO
Il sepolcro monumentale La tomba di Niccolò Paganini è posta al centro del quadrante Sud-Est del Cimitero della Villetta a Parma. Il sepolcro monumentale è formato da un’edicola di gusto neoclassico, in granito, sorretta da otto colonne ioniche e sormontata da un’alta trabeazione conclusa agli angoli da quattro fregi “a palmetta” e al centro da una cupola semisferica. Nel mezzo dello spazio coperto, protetto da una cancellata in ferro battuto e preceduto da due bracieri, si trova l’arca contenente le spoglie del Maestro, sopraelevata di tre gradini e sovrastata dalla sua figura a mezzo busto con la croce dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio e le altre decorazioni ricevute, scolpita in marmo di Carrara dallo scultore genovese Santo Varni (1807–1885), allievo di Lorenzo Bartolini a Firenze, su una base che reca lo stemma nobiliare (peraltro mai autenticato) del Barone Paganini. L’aquila con violino e arco scolpiti a bassorilievo sulla base dell’arca sono eloquente rimando all’attività artistica del defunto mentre le due fiaccole rovesciate sono simbolo assai frequente nell’iconografia ottocentesca della morte.
Alla base del busto è riportata l’iscrizione: «Il figlio Achille da Palermo pose questo monumento a imperitura memoria». Al retro: «Qui riposano le ceneri – di Niccolò Paganini – che traendo dal violino armonie divine – scosse genio insuperabile tutta Europa – e cinse all’Italia – nuova folgorante corona». Sul lato Est: «Mente elettissima/ compose stupendamente in musica/ ammirato da’ più illustri maestri». Sul lato Ovest: «Cuore oltremodo generoso/ donò largamente/ ai parenti, agli artisti, ai poveri».
La volta interna è dipinta con decori monocromi suddivisi in quattro spicchi specchiati: a Nord e a Sud, affacciati, due angeli reggono un’arpa; a Est e a Ovest ardono due bracieri posti su ampi basamenti in pietra e decorati con fregi fitomorfi. Al centro chiude la decorazione un rosone. Lo stile delle decorazioni ricorda da vicino quelle, di similare soggetto a monocromo, dipinte nell’abside dell’Oratorio di San Gregorio Magno alla Villetta.

LE VICENDE COSTRUTTIVE
Lunga e complessa la vicenda della sepoltura di Nicolò Paganini, bene rievocata da Ferruccio Botti nel suo Paganini e Parma.
Il Vescovo di Nizza aveva negato funerali religiosi al musicista per empietà, sulla testimonianza del canonico che si era recato da lui prima del decesso, essendo egli morto senza volere o potere confessare i suoi peccati. A causa del divieto di sepoltura in terra consacrata, il corpo fu imbalsamato e conservato due mesi in una casa, in attesa dell’annullamento della sentenza. Quando le autorità locali ne imposero il trasferimento, quelle genovesi negarono l’accesso in patria. Dopo l’autorizzazione da parte di Carlo Alberto di Savoia alla tumulazione in assenza di rito religioso, il Governo del Regno di Sardegna concesse una sepoltura temporanea e segreta nella Villa Paganini a Ramairore in Valpolcevera, Nel 1844 una nuova sentenza concesse esequie solenni a Parma nella chiesa Magistrale dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio, di cui Paganini era stato insignito, e l’anno successivo fu autorizzato il trasporto del feretro nel Ducato e la sepoltura nel nuovo cimitero di Gaione. Sino al completamento del cimitero nel 1853, la salma fu conservata in una delle due sagrestie della Pieve di Gaione. Fu poi tumulata in una cripta sotterranea sulla quale doveva sorgere un monumento sepolcrale disegnato dall’architetto Giovanni Pavarani (1801–1848) con sculture di Tommaso Bandini (1807–1849), approvato dalla locale Accademia di Belle Arti. Il progetto non fu realizzato e quando nel 1876 fu annullata la sentenza vescovile che aveva vietato la sepoltura in terra consacrata, la salma fu traslata nel cimitero della Villetta, dove, come ricorda l’iscrizione posta alla base del busto «Il figlio Achille da Palermo pose questo monumento a imperitura memoria».
Il 17 febbraio 1875, infatti, il Barone Achille Paganini, figlio di Nicolò, aveva chiesto al Comune di Parma di poter costruire nel cimitero della Villetta una tomba in marmo di Carrara e granito “che nel complesso riesca imponente e maestosa come si merita il grande artista…” Il 1 giugno 1875 il Comune concedeva la costruzione del monumento.
Non c’è certezza sull’autore del progetto. Ferruccio Botti ipotizza che fosse lo stesso Pavarani a lavorare al nuovo progetto; ipotesi, peraltro, poco credibile perché l’architetto era già scomparso nel 1848, ben prima che si profilasse l’ipotesi di portare la salma a Parma. Non chiarite neppure le vicende che portarono alla sostituzione della copertura a timpano con la cupola semisferica.
Nel 1878 sarebbe stata ampliata l’area ceduta al barone Paganini, creando una zona “di rispetto” intorno al monumento già innalzato, come documentato da una pianta in Archivio Comunale (Richiesta del 29 dicembre 1877), siglata per approvazione da Marco Sante Bergamaschi (1827–1902), Ingegnere Capo del Comune.
Un tempo la cassa era estraibile e si poteva vedere parte della salma da un vetro che consentiva di scorgere il volto mummificato del grande violinista. Nel 1940, in occasione delle celebrazioni del primo centenario della morte, venne eseguita una ricognizione del corpo e quindi fissate le parti mobili dell’arca che ne permettevano l’esposizione.
Nel 2003, l’Amministrazione Comunale di Parma e l’Associazione Amici di Paganini di Genova, sostenevano il restauro integrale del manufatto, diretto dall’architetto Tiziano Di Bernardo e realizzato dall’Impresa Ivan Marmiroli di Reggio Emilia sia per la parte edile che per la parte scultorea.
Nel 2012, a causa di infiltrazioni, si rendeva necessario un nuovo intervento di restauro con la direzione tecnico-artistica dell’Arch. Barbara Zilocchi in collaborazione con l’Arch. Paola Madoni della Soprintendenza ai Beni Architettonici e della d.ssa Mariangela Giusto della Soprintendenza ai Beni Artistici della Provincia di Parma, che ha ripristinato l’originaria copertura in piombo e, eliminate muffe e infiltrazioni, ha permesso il recupero delle pitture originarie ad affresco, nascoste da più tarde ridipinture a tempera. L’intervento ha permesso di riportare al primitivo stato un luogo caro ai musicisti e agli appassionati, meta regolare di visitatori provenienti da tutto il mondo e delle periodiche rievocazioni musicali “note della memoria” promosse da Ade, a ricordarci che la musica e l’arte non hanno confini né barriere.
 
LA VITA
Nato a Genova il 27 ottobre 1782, Niccolò Paganini (1782-1840) dopo aver appreso dal padre, sul mandolino, le prime nozioni di musica, dall’età di 10 anni inizia lo studio del violino con maestri di scarso valore. Dopo un primo soggiorno a Parma (1795.1797), dove studia violino con Alessandro Rolla (1782-1831) e contrappunto, perfezionandosi in composizione con i maestri parmigiani Gaspare Giretti e Ferdinando Paër (1771-1839) e componendo 24 “fughe”, intraprende col padre il primo giro di concerti in Lombardia, dove si dà ad una vita sfrenata, contraendo debiti di gioco.
Dal 1801 al 1804 si ritira in Toscana. A Lucca la principessa Elisa Baciocchi, con la quale ha una relazione, lo nomina primo violino e direttore dell’orchestra di Corte. Dal 1808 si dedica con intensità a concerti nelle principali sale d’Europa. Il fascino della sua personalità e la prodigiosa abilità gli valgono ovunque successi strepitosi, suscitando un vero e proprio fanatismo intorno alla sua persona. Legatosi tra il 1815 ed il 1828 alla cantante e danzatrice Antonia Bianchi, che gli darà il figlio Achille, proseguirà la sua frenetica attività a Vienna, Parigi (1831), Londra (1832). Nel 1832 ricevette il titolo di barone (in verità falso) e acquistò a Gaione, nei pressi di Parma una villa con tenuta, che ancor oggi porta il suo nome, per curare la pubblicazione delle sue opere. Nel 1835 acquistava in città pure Palazzo Linati. Dopo alcuni concerti a Parma e a Piacenza venne insignito dalla duchessa Maria Luigia dell’Ordine Costantiniano e ricevette l’incarico di predisporre un progetto per il riordino dell’Orchestra Ducale. Avendo incontrato resistenze all’attuazione del suo programma perché giudicato troppo oneroso per le casse del Ducato, e gravemente malato di tisi, abbandonò Parma. Recatosi a Marsiglia, a Genova e a Nizza dove sperava, col clima, di migliorare il proprio stato di salute, vi morirà il 27 maggio 1840.

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