Attentati a Parigi a confronto: come cambia il terrorismo

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Gli atti terroristici avvenuti in Francia negli ultimi 10 mesi hanno visto un’escalation di violenza legata al fondamentalismo islamico. Il presente articolo sviluppa un’analisi sulle modalità con cui gli attentati sono stati condotti e dei diretti responsabili, e alla luce di questo tenta di tracciare possibili scenari.

I due attacchi del Gennaio 2015, non rivendicati dall’Isis ma da uomini che si dichiaravano affiliati di Al Qaida o vicini allo Stato Islamico, erano motivati da una volontà di rivalsa per le offese che la testata giornalistica Charlie Hebdo avrebbe arrecato alla religione musulmana.

Il 13 Novembre scorso ci si è invece trovati di fronte a molteplici attacchi coordinati, di cui l’Isis ha direttamente reclamato la responsabilità, compiuti da uomini che avevano combattuto nelle milizie dello Stato Islamico.

I comunicati video hanno sottolineato che gli attacchi erano la risposta a scelte politiche e militari del governo di Parigi, come alcuni attentatori urlavano agli ostaggi al Bataclan – “E’ colpa di Francois Hollande… non avrebbe dovuto intervenire in Siria”.

E’ chiara quindi la matrice di rivendicazione politica con la quale l’Isis vuole esercitare pressioni sulle scelte compiute dall’Eliseo nel conflitto in Siria – e più in generale nella lotta contro il fondamentalismo islamico.

I responsabili dell’attacco contro la sede di Charlie Hebdo – 12 morti – e del successivo sequestro al supermercato Kosher – 5 morti – erano tutti nati in Francia. I due fratelli Kouachi, che colpirono la redazione del giornale, avevano ricevuto un addestramento di almeno 3 giorni all’uso di armi, come il fucile d’assalto AK kalashnikov, in un campo di Al Qaida durante due settimane trascorse nello Yemen nel 2011. Essi si dichiaravano appunto seguaci di Al Qaida nella penisola arabica. Francese era anche Amedy Coulibaly, ex-detenuto coinvolto in cinque tentativi di rapina che aveva trascorso parte della sua vita adulta in istituti di detenzione. Proprio in prigione incontra Chérif Kouachi ed entrambi entrano in contatto con Djamel Beghal, franco-algerino che aveva operato come reclutatore di Al Qaida e condannato nel 2001 per aver tentato di attaccare l’ambasciata americana a Parigi. Quando lasciano il carcere nel 2010 i due sono divenuti ferventi jihadisti, e questo può spiegarsi solo alla luce dell’indottrinamento ricevuto durante la detenzione.

Coulibaly non risulta esser mai stato in medio oriente o aver avuto addestramento in campi terroristi. In un video di 7 minuti spiegava di aver agito in concomitanza con i fratelli Kouachi, e si dichiarava soldato del Califfato e alleato del suo leader Abu Bakr al-Baghdadi.

Anche nel caso dei recenti attacchi di Parigi – 130 morti, 368 feriti – la maggior parte dei terroristi erano nati in Francia o in Belgio, mentre uno, Ahmad Al Mohammad, entrato in Europa a Leros in Grecia il 10 Ottobre scorso come rifugiato, era di origini siriane. Sei di loro – tre all’esterno dello Stade de France, due nella sala concerto Bataclan e uno di fronte al ristorante Comptoir Voltaire – portavano cinture esplosive con cui si sono fatti saltare in aria. Almeno tre – Omar Ismail Mostefai, Bilal Hadfi e Sami Amimour – avevano combattuto nelle file dell’Isis in Siria tra il 2014 e il 2015 prima di rientrare in Francia.

Si trattava quindi di uomini che, nonostante abbiano compiuto errori grossolani abbandonare un cellulare con numeri di telefono nelle vicinanze di uno dei luoghi dell’attacco, dove è stato facilmente ritrovato dalla polizia, invece di distruggerlo; tentare di entrare allo stadio senza avere i biglietti – avevano esperienza di guerra o ricevuto un addestramento più lungo rispetto a quello degli attentatori degli attacchi di Gennaio 2015. Le loro azioni sono state coordinate e preparate. La cosa è provata anche dalla morte scelta da sei degli otto del commando; la decisione di farsi saltare in aria non è causale, ma compiuta da kamikaze spesso addestrati sin dall’infanzia con la
connivenza delle famiglie, o indottrinati in età adulta per periodi di lunga durata. Al contrario nessuno dei fratelli Kouachi o Coulibaly si è fatto esplodere. Quasi tutti di estrazione povera e avvicinatisi alla predicazione dell’islam radicale, gli attentatori erano tutti giovani con un’età media di poco inferiore ai 30 anni, che diventa di 26 anni e mezzo se si considerano solo i responsabili degli attentati del 13 Novembre.

Lo Stato Islamico ha concentrato i suoi sforzi per assicurarsi la sopravvivenza territoriale nella regione fra Siria e Iraq, in cui è emerso con forza due anni fa. Il recente massacro di Parigi ha dimostrato che esso è in grado di lanciare attacchi coordinati lontano dal proprio territorio.

Nel Febbraio 2015 l’intelligence americana stimava tra le fila dell’Isis in Iraq e Siria la presenza di non meno di 20.000 combattenti stranieri, di cui almeno 3.400 occidentali. I dati dell’intelligence europea ne fissano invece il numero tra le 4 e le 5mila unità. Fra questi il contingente maggiore è rappresentato da combattenti provenienti da paesi europei.

Utilizzando quindi simpatizzanti che sono tornati dalle zone del conflitto, l’Isis, mentre continua la sua lotta per affermarsi definitivamente sui propri rivali in Medio Oriente, può colpire, con risorse limitate, stati europei senza impiegare direttamente i propri appartenenti, condizione organizzativa auspicata in molti ambienti di matrice terrorista. Questo permette all’organizzazione di raggiungere un duplice scopo; da un lato dimostra la propria forza, elemento non trascurabile per il pensiero terrorista, mentre dall’altro esercita pressioni sul fronte interno di quegli avversari – la Francia – che la contrastano sul campo di battaglia. L’impiego limitato di risorse e gli altri punti sono altrettanti capisaldi delle organizzazioni terroristiche.

Rimane una considerazione sui possibili scenari. La cellula responsabile per gli attacchi del 13 Novembre è stata apparentemente smantellata, ma la possibilità che si riformi è tutt’altro che minima. Tale considerazione si basa sui precedenti di quanto avvenuto in un contesto dove lo scontro si è radicalizzato e sostenuto da un organizzazione che può contare, come è stato dimostrato, su numerosi simpatizzanti. Il ventisettenne di origine belga Abdel Hamid Abaaoud, ex-combattente in Siria ed identificato finora come uno dei pianificatori degli ultimi attentati di Parigi, era stato anche uno dei leaders della cellula di Vervier in Belgio composta da jihadisti tornati dalla Siria e distrutta in seguito ad uno scontro a fuoco con le forze speciali il 15 Gennaio scorso.

Già condannato in absentia a 20 anni di carcere, Abaaoud, prima di venir ucciso nel raid dei reparti speciali francesi a Saint Denis, nei 10 mesi dai fatti di Vervier era riuscito a reclutare altri membri con cui rendere operativa una nuova cellula, responsabile di quanto accaduto a Parigi. L’eliminazione di una cellula rappresenta sicuramente un danno, ma l’analisi dimostra che tale perdita non si traduce necessariamente nel venir meno della capacità di colpire della rete terrorista che la può ricostruire contando sui suoi simpatizzanti, specialmente laddove la politica di sicurezza – e questo è stato il caso della Francia – ha mantenuto un livello di allerta insufficiente rispetto al pericolo da affrontare.

Alessandro Guardamagna

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