
Le norme giuridiche, quindi anche le costituzioni votate da assemblee rappresentative del corpo elettorale, sono il frutto dei rapporti di consistenza, si può dire anche di forza, tra i vari partiti espressione di diverse culture politiche.
L’Assemblea costituente eletta, il 2 giugno 1946, per dare all’Italia una nuova costituzione, in una simultanea consultazione elettorale con il referendum istituzionale per scegliere fra monarchia e repubblica, non sfugge certo al concetto prima enunciato di norma frutto di rapporti di forza tra partiti.
Precisiamo subito che il doppio appuntamento elettorale, referendum e elezione dell’Assemblea costituente, di Domenica 2 Giugno 1946, portava, nella forma e nella sostanza, a fare in modo che l’Italia anche in caso di vittoria monarchica e con l’elezione comunque di un organo rappresentativo con un definito compito costituzionale, avrebbe avuto una nuova costituzione.
Il partito di maggioranza relativa in quella Assemblea, eletta con un sistema proporzionale, fu la Democrazia Cristiana che grazie al 35.2% dei voti ebbe 207 seggi su 556; i Socialisti, ancora uniti, ne ebbero 115, i Comunisti 104, i Liberali 41; tanto per ricordare i gruppi più consistenti.
I principi fondamentali, i primi 12 articoli della nostra Costituzione, sono la carta d’identità della Repubblica, sono intrisi di ideali e concetti della cultura politica, economica e sociale cattolico democratica che si esprimeva nel gruppo democristiano in Assemblea. Tra i deputati costituenti democristiani i più attivi furono quelli con una tendenza “progressista”, come Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giorgio La Pira, Aldo Moro, che, in modo sintetico e semplicistico, furono considerati appartenenti ad un’area politica poi denominata sinistra democristiana.
Alcuni analisti hanno definito la nostra Costituzione come “catto – social- progressista”.
La nostra Carta fondamentale, antifascista nell’essenza, pretende anche di segnare una discontinuità con lo Stato liberale pre – fascista che aveva, per molto tempo, visto ai margini, della vita politica e sociale, il mondo cattolico italiano; infatti non meraviglia l’aspirazione costituzionale a disegnare uno Stato nuovo nei principi fondanti, non solo perché da una forma monarchica si è passati a quella repubblicana.
† C’erano anche delle donne nell’Ultima Cena? E’ possibile, è probabile (di Andrea Marsiletti)
Voglio limitarmi ad un breve esame di alcuni aspetti dei primi tre articoli dei Principi fondamentali.
L’inizio della Costituzione, all’art. 1, fa perno su tre parole: Repubblica, democrazia, lavoro:
Repubblica per significare la nuova forma di governo che voleva essere uno Stato nuovo; democrazia con chiaro riferimento alla sovranità che appartiene al popolo nelle forme e nei limiti presenti nella stessa Carta; lavoro, proponendo un ideale di società, dove conta di più quello che uno fa, rispetto a ciò che uno ha. Da notare che si usa il termine lavoro e non lavoratori, che avrebbe avuto un connotato classista di chiara matrice marxista; infatti il principale proponente in Assemblea della formulazione definitiva dell’articolo fu un democristiano che sarà un esponente di rilievo della vita politica italiana: Amintore Fanfani.
L’art. 2 ci propone la “protagonista” della Costituzione: la persona umana considerata nel suo aspetto sociale, che si realizza in formazioni sociali di varia complessità.
La persona, non l’individuo della impostazione liberale. Le formazioni sociali vengono incontro alla persona nel corso della sua vita, come sosteneva Aldo Moro, a partire dalla famiglia, la scuola, le associazioni con vario scopo, le comunità locali, fino ad arrivare allo Stato.
La Repubblica è intesa come un insieme di persone e di formazioni sociali. Non c’è solo la singola persona e lo Stato con il suo apparato.
Il connotato culturale, ancor prima che politico, di quest’ultima impostazione ci porta alla corrente filosofica del Personalismo Cristiano, che ebbe come principale esponente lo studioso cattolico francese Jaques Maritain.
La persona ha dei diritti inviolabili che non gli vengono attribuiti dai pubblici poteri, perché gli appartengono naturalmente: alla Repubblica spetta solo riconoscerli e garantirli; e “inviolabili”, come affermato da una sentenza della Corte costituzionale del 1988, significa che non possono essere sovvertiti nemmeno da un procedimento di revisione costituzionale. Il tutto è tenuto insieme dal rapporto di solidarietà politica, economica e sociale che costituisce l’asse portante della comunità repubblicana.
Giuseppe Dossetti scrisse, dell’essenziale importanza che ha l’aver dato, a partire dall’art. 2, consistenza costituzionale ai corpi intermedi fra la persona e lo Stato, territoriali e non territoriali: quali la famiglia, il comune, le province, le regioni, le confessioni religiose, le scuole di ogni ordine e grado, le università e accademie, i sindacati, gli ordini professionali, i partititi, le libere associazioni di assistenza, volantariato, ecc.
L’uguaglianza di fronte alla legge la troviamo all’art. 3; già la collocazione costituisce una chiara scelta, se si pensa che nello Statuto albertino del 1848 era trattata all’art. 24.
Da come il concetto è formulato in Costituzione si può affermare che ognuno può essere diverso dall’altro, senza essere discriminato per la propria diversità.
Il secondo comma dell’articolo afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ostacolano quel principio di uguaglianza di fronte alla legge prima enunciato, il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione alla vita sociale, politica ed economica
Questa parte dell’articolo ha grande rilievo programmatico e costituisce il più alto punto di partenza per l’intervento dei pubblici poteri in campo economico e sociale per arrivare ad una economia sociale di mercato (compresenza di pubblico e privato nel sistema economico), con il primo scopo di tutelare la dignità e la possibilità di sviluppo della persona.
E’ chiaro il riferimento alla cosiddetta Dottrina sociale della Chiesa, a partire dall’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII del 1891.
Anche se la nostra Costituzione non si apre con un riferimento a Dio o alla Vergine Maria, come aveva chiesto in chiusura dei lavori dell’Assemblea Giorgio La Pira, essa, anche per i rapporti numerici nella fase costituente fra i vari partiti politici, ci è stata consegnata permeata da valori cattolico – democratici.
L’attuale garante della nostra Carta fondamentale è il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che, anche per la sua provenienza culturale e politica, è in grado di svolgere, e svolge, una quotidiana opera di “catechesi costituzionale”; e ci ricorda che la Costituzione della Repubblica non è un documento che sta alle nostre spalle, ma è ancora di fronte a noi, per essere vissuto e realizzato.
Stefano Gelati