
Il Tribunale Penale di Parma ha depositato la sentenza con le motivazioni della condanna di Federico Pesci a 8 anni e mesi 6 di reclusione, oltre al risarcimento del danno alla persona offesa e alle parti civili costituite, Centro Antiviolenza e Comune di Parma.
La sentenza, composta di 111 pagine, ripercorre tutte le tappe del processo, riepiloga gli elementi di prova; le dichiarazioni della ragazza; l’accertamento investigativo; le dichiarazioni dei medici che l’hanno visitata e delle persone che l’hanno conosciuta; dà conto inoltre di un migliaio di pagine di trascrizioni di intercettazioni, trascritte e allegate in parte dal Pubblico Ministero e in gran parte dalla difesa dell’imputato. Il Tribunale spiega perché, al termine dell’istruttoria dibattimentale, il Collegio ha ritenuto di disporre una perizia psichiatrica sulla capacità della ragazza a rendere testimonianza; un’indagine ritenuta necessaria dopo le produzioni documentali effettuate dalla difesa di Federico Pesci, posto che per condannare l’imputato di reati di violenza sessuale può bastare si la sola dichiarazione della vittima ma l’indagine deve essere rigorosa soprattutto ove questa, costituitasi parte civile, sia portatrice di un interesse proprio. All’esito la perizia ha concluso che la capacità di narrare e rievocare i ricordi riferiti a sé e alla relazione con gli altri si è mantenuta integra nel tempo e, ad avvalorare la sua credibilità, sono riportati l’assenza di intenti calunniatori o recriminatori e l’iniziale reticenza a denunciare i fatti, al fine di evitare la macchina giudiziaria. La credibilità della ragazza, riconosce il Tribunale, deriva proprio dalla spontaneità con cui ha fatto trasparire le sue fragilità e le sue debolezze.
La sentenza, per quanto possa rilevare la lettura che ne può dare chi come noi si occupa di violenza maschile sulle donne, di stereotipi e discriminazioni, dopo aver analizzato tutte le censure mosse dalla difesa dell’imputato ribadisce con chiarezza che il discrimine tra atto sessuale lecito e atto sessuale illecito è il consenso, un consenso che non è solo all’atto in sé ma anche alle modalità con cui viene posto in essere, un consenso che deve permanere per tutto il tempo del rapporto ed è sempre revocabile.
Infine spiega perché all’imputato, nonostante la sua incensuratezza, non sono state riconosciute nemmeno le circostanze attenuanti generiche; questo sia per la gravità dei reati commessi che per l’atteggiamento, tenuto nel corso dell’intero iter processuale: privo di una seppur minima manifestazione di resipiscenza per i reati commessi.
Riconosce il Tribunale che le condotte illecite del Pesci hanno determinato un danno alla persona offesa (difesa dall’avv. Donata Cappelluto) ma anche alle ulteriori parti civili, avendo offeso i valori tutelati e gli scopi perseguiti di tutela della persona, il Comune di Parma, e di lotta contro ogni forma di violenza contro le donne, il Centro Antiviolenza; enti la cui immagine risulta minata in ordine all’efficacia della propria azione, con perdita di fiducia, da parte dell’opinione pubblica, nei servizi offerti e la necessità di prestare ancora maggiore impegno per recuperarla e per perseguire i propri scopi socialmente utili.
Il Centro Antiviolenza si è costituito parte civile nel processo scegliendo di essere assistito dall’avvocata di altro Centro Antiviolenza, avv. Giovanna Fava, del Foro e dell’associazione Nondasola di Reggio Emilia, e di rimanere del tutto silente nella campagna mediatica che vi è stata per tutto il corso del processo, perché il suo scopo è sempre e solo stato quello di far emergere la verità sostenendo la donna che la violenza l’ha subita, consapevole che la sua credibilità sarebbe stata oggetto di forti attacchi e così continuando ad affermare il diritto di ognuna all’autodeterminazione.
Non siamo riuscite ad evitare alla donna la durezza del processo ma siamo liete che sia stata creduta e che il Tribunale le abbia reso giustizia.
Centro Antiviolenza di Parma ODV