
Anche Cna Parma, in particolare l’Unione Agroalimentare e i mestieri correlati, sostiene la candidatura della Cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco promossa dal ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste per valorizzare la qualità delle produzioni italiane, la tutela delle tradizioni culinarie e la diffusione di quelle pratiche conviviali che rendono unico il nostro paese. La votazione si terrà il prossimo 10 dicembre a Nuova Delhi.
“Non potevamo che raccogliere l’invito a promuovere la candidatura – commenta il presidente di Cna Parma Paolo Giuffredi – visto che nel panorama della cucina italiana Parma ricopre un ruolo di grande rilievo. Siamo già Città Creativa Unesco della Gastronomia; abbiamo prodotti tipici Dop e Igp riconosciuti, apprezzati ed esportati in tutto il mondo, il Parmigiano Reggiano e il Prosciutto di Parma solo per citarne un paio. Qui abbiamo la sede di Efsa – l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, e di Alma, il più autorevole centro per l’alta formazione in Cucina e nell’Ospitalità italiana a livello internazionale – aggiunge Giuffredi, che è anche nel Cda della scuola di Colorno -. Ogni anno Alma accoglie circa 900 di studenti provenienti in gran parte dall’estero, al suo attivo ha accordi con diversi paesi nel mondo, dalla Cina agli Stati Uniti fino al Canada e una collaborazione con The Food School, una scuola di cucina esclusiva a Bangkok, in Thailandia. Insomma, come sistema Parma stiamo già esportando nel mondo la tradizione della cucina italiana. Inoltre, non da meno, siamo emiliani: la cultura del cibo e della convivialità fa parte del nostro Dna. La vocazione alla valorizzazione delle nostre tradizioni gastronomiche, dei prodotti tipici, della cultura del cibo e dell’accoglienza insieme a un’attitudine ormai consolidata alle relazioni internazionali, proprio a partire dal cibo, ci chiamano quindi in causa direttamente”.
Sostenere la candidatura significa anche tutelare l’economia nazionale dall’italian sounding, il fenomeno che consiste nell’utilizzare parole, immagini o combinazioni cromatiche che richiamano l’Italia per promuovere prodotti che in realtà non sono Made in Italy. Un fenomeno che ogni anno sottrae al nostro Paese risorse pari a circa 120 milioni di euro.