Mai come in questa crisi di Governo è diffusa tra i cittadini la convinzione che qualunque veto, impegno o proclama passati non abbiano alcun valore o credibilità, perchè il giorno dopo tutto può essere ribaltato nell’esatto opposto.
Nulla di nuovo, e comunque nulla in confronto ad altri periodi storici.
Siamo a Parigi, nel 1791. Nella discussione sul Codice penale, l’Assemblea Costituente, l’organismo che guidò la prima fase della Rivoluzione francese all’indomani della presa della Bastiglia, il processo legislativo si bloccò su una questione dirimente: la pena di morte doveva essere conservata o abolita?
Prese la parola un giovane deputato, che di professione faceva l’avvocato: “Ascoltate la voce della giustizia e della ragione; essa ci grida che i giudizi umani non sono mai abbastanza certi, perché la società possa condannare a morte un uomo condannato da altri uomini soggetti a errare. I Paesi liberi sono quelli nei quali i diritti dell’uomo sono rispettati. Guardatevi bene dal confondere l’efficacia delle pene con l’eccesso della severità; l’una è assolutamente l’opposta dell’altro. Provate a trovare il più perfetto sistema giudiziario, provate a trovare i giudici più onesti e illuminati: resterà sempre un margine di errore. Perchè non consentire di riparare? Se le leggi offrono il destro alla collera e alla vendetta, se fanno scorrere il sangue che non hanno il diritto di spargere, se offrono allo sguardo del Popolo scene crudeli e cadaveri straziati dalle torture, allora esse confondono nella mente dei cittadini il concetto del giusto e dell’ingiusto. Un vincitore che fa morire i suoi nemici, presi prigionieri deve essere chiamato barbaro! Il fanatismo che chiede il sangue mette lo Stato allo stesso livello dei mostri. Io concludo perché la pena di morte sia abrogata.”
L’appello rimase inascoltato e l’Assemblea votò, quasi all’unanimità, a favore della pena di morte.
Chi pronunciò quelle parole così illuminate fu colui che un anno dopo invocò la ghigliottina per il Re di Francia Luigi XVI… fu proprio Maximilien de Robespierre, l’Incorruttibile, l’icona della Rivoluzione francese, la guida implacabile dei giacobini che istituì il Tribunale rivoluzionario per i “nemici del Popolo e della Rivoluzione”.
Sappiamo che fine fece la testa del Re e poi quella di Robespierre che rotolò anch’essa dalla ghigliottina.
“Ci si inganna se si crede che la buonafede dei patriotti impieghi una forza eccessiva contro i traditori della nazione. Chiunque sia infiammato dall’amore della Patria accoglierà con entusiasmo i mezzi per raggiungere e colpire i suoi nemici” disse Robespierre chiedeva e otteneva l’approvazione della legge che toglieva agli imputati il diritto di avvalersi di consulenti legali e di testimoni che potessero scagionarli, fin lo stesso interrogatorio prima dell’udienza. La negazione di qualsiasi garanzia per l’imputato era giustificata dalla presunta esigenza democratica di portare gli aristocratici e i ricchi allo stesso livello del Popolo, ovvero impedire che le loro ricchezze potessero farli scappare alla giustizia.
La Corte poteva pronunciare il suo verdetto su semplici presunzioni morali.
Era l’apoteosi dell’arbitrio e dell’infallibilità umani.
Per tornare ai giorni nostri, se chi fu protagonista di un così incredibile voltafaccia, da abolizionista della pena di morte ad apologeta del Terrore, è entrato nella Storia come uno dei suoi personaggi più grandiosi… chissà, un domani il voltafaccia di Di Maio e Zingaretti potrebbe essere revisionato come una monumentale operazione politica e un atto di liberazione dalla tirannia leghista. O, viceversa, la mossa di Salvini di spianare la strada al Governo Pd-M5S per poi consentirne il rovinoso fallimento sarà ricordato come un colpo di genio che, un anno dopo, consegnerà prima l’Emilia Romagna e poi l’Italia alla Lega.
Chissà… chissà anche chi di loro farà la fine di Robespierre…
Andrea Marsiletti