I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Parma hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Parma, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di nr. 2 società ubicate a Fontevivo – operanti nel settore dei trasporti su strada con unità locale anche a Reggio Emilia – e di nr. 5 persone fisiche, tra cui un commercialista con studio a Parma e un consulente del lavoro con sede a Salerno, ma operante in Parma (entrambi già coinvolti in precedenti indagini in materia di reati tributari concernenti la creazione di crediti fiscali inesistenti).
Con il decreto è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e, in alternativa, per equivalente, di beni mobili, immobili e disponibilità liquide fino alla concorrenza dell’ammontare complessivo di € 1.100.000,00, pari all’ammontare delle imposte complessivamente evase nei periodi d’imposta dal 2015 al 2022.
Il provvedimento è scaturito da articolate indagini di polizia giudiziaria dirette dalla Procura della Repubblica di Parma e condotte dai finanzieri della Tenenza di Fidenza che hanno permesso di ipotizzare la commissione di reati finalizzati all’evasione d’imposta mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture false, l’omesso versamento d’imposta nonché l’impiego di crediti d’imposta inesistenti, in parte relativi alla formazione del personale finanziata con risorse del PNRR.
Secondo la ricostruzione investigativa le due imprese, la cui gestione sarebbe riconducibile di fatto a un’unica persona fisica, avrebbero realizzato un sistema fraudolento mediante la fittizia assunzione di proprio personale da parte di sei distinte imprese “cartiere” al solo fine di far ricadere sulle stesse tutti i debiti d’imposta legati sia ai contributi maturati in relazione alla forza lavoro assunta sia alle imposte sui redditi e all’IVA. Conseguentemente, le sei società fornitrici di manodopera hanno omesso il versamento di tutte le imposte dovute.
In particolare, le sei imprese cartiere fornitrici presentavano i seguenti elementi comuni:
- sono risultate “scatole vuote” prive di una reale struttura economica e societaria;
- erano formalmente intestate a prestanome privi di esperienza manageriale e di effettivi poteri decisionali, spesso legati da rapporti di parentela o affinità con il reale amministratore delle società di trasporto beneficiarie della frode;
- avevano una sede legale fittizia avendo concretamente operato presso la sede principale delle due società di trasporto;
- erano evasori totali, inadempienti agli obblighi contabili e fiscali;
- avevano avuto rapporti commerciali quasi esclusivamente con le due imprese oggetto di accertamento;
- avevano avuto i medesimi consulenti fiscali e del lavoro delle due imprese che ne utilizzavano la manodopera.
† Terra Santa 13 – Come Giuda nell’orto degli ulivi. E Dio mi ammonisce… (di Andrea Marsiletti)
Inoltre, i dipendenti delle società cartiere (oltre 300) al di là della formale assunzione in una società piuttosto che in un’altra, avrebbero lavorato sempre per lo stesso datore di lavoro e presso la stessa sede delle due società di trasporto, a conferma della unicità del rapporto di lavoro a prescindere dalla società di volta in volta deputata all’assunzione.
In altri termini -secondo l’ipotesi accusatoria condivisa dal GIP- le due società di trasporto, mediante l’artificioso trasferimento, in capo a più cartiere, del ruolo di datore di lavoro e dei connessi obblighi di versamento delle imposte e dei contributi previdenziali ed assistenziali, avrebbero realizzato un’illecita somministrazione di manodopera che avrebbe loro garantito, da un lato, l’acquisizione di forza lavoro a costi molto vantaggiosi e, dall’altro, l’indebita detrazione dell’IVA applicata alle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalle società “cartiere” in quanto se la forza lavoro fosse rimasta in capo agli effettivi datori di lavoro le due imprese di trasporto non avrebbero beneficiato delle citate detrazioni IVA.
Per le condotte fin qui descritte sono contestati al presunto amministratore di fatto e a n. undici prestanome i reati di emissione ed utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per un ammontare pari a oltre € 3.500.000,00 (artt. 2 e 8 d.lgs. 74/2000).
Una seconda contestazione è rivolta ad un commercialista, a un consulente del lavoro nonché all’amministratore di fatto e a un suo prestanome e riguarda alcune ipotesi di indebita compensazione di crediti fiscali fittizi per un ammontare pari a € 147.476,52 (art. 10 quater d.lgs 74/2000).
In dettaglio, il commercialista, quale consulente fiscale e depositario delle scritture contabili di una delle due società di trasporto, si sarebbe occupato di tutti gli adempimenti di natura fiscale fino alla presentazione della dichiarazione annuale ove sarebbero stati indicati importi “inventati” al fine di generare crediti d’imposta fittizi.
In sostanza dunque -questa l’ipotesi investigativa fatta propria dal GIP- il commercialista sarebbe stato pienamente consapevole dei meccanismi illeciti ed anzi artefice dello stratagemma consistente nell’inserimento, in dichiarazione, di dati contabili non corretti, in modo da consentire alla società, non solo di azzerare i debiti tributari, ma di trovarsi addirittura in una posizione di credito nei confronti dell’Erario.
La contestazione rivolta al consulente del lavoro, in concorso con l’amministratore di fatto ed un prestanome, riguarda l’utilizzo di crediti d’imposta fittizi pari a € 92.642,57 che sarebbero stati creati abusando degli incentivi che lo Stato eroga alle imprese per la formazione e l’aggiornamento del proprio personale nel settore delle tecnologie (es. “big data”, cyber security, internet, integrazione digitale dei processi aziendali) previsti dal “Piano Nazionale Industria 4.0 – misura rientrante nelle agevolazioni finanziate con risorse del PNRR atte a promuovere la trasformazione digitale delle imprese incentivando gli investimenti privati in beni e attività a sostegno della digitalizzazione dei processi (Missione 1 – Componente 2 – Investimento 1).
Sul punto, secondo l’ipotesi d’accusa, le indagini – eseguite attraverso intercettazioni telefoniche, accertamenti bancari ed escussione di persone informate sui fatti – avrebbero permesso di ipotizzare la mancata effettuazione dei corsi di formazione e la predisposizione di documentazione probatoria fittizia (con particolare riferimento ai registri didattici delle presenze, alle relazioni del docente sulla valutazione dell’attività del corso di formazione, nonché alla prevista asseverazione del professionista incaricato a certificare l’aderenza del costo alla normativa di settore) al solo scopo di permettere all’impresa di trasporto coinvolta di accedere a crediti tributari utili a estinguere illecitamente i debiti d’imposta.
In sostanza, dunque, il consulente del lavoro -nella ricostruzione investigativa condivisa dal GIP- sarebbe stato perfettamente a conoscenza dell’artificiosità dell’operazione e dell’inesistenza dei corsi di formazione e, nonostante ciò, avrebbe trasmesso i modelli F24 per ottenere la compensazione dei debiti con i crediti d’imposta inesistenti e avrebbe predisposto la documentazione da presentare alla Guardia di Finanza per mascherare l’inesistenza dei corsi di formazione.
Infine, al rappresentante legale e all’amministratore di fatto di una delle due società di trasporto è contestata l’ulteriore condotta di omesso versamento di IVA a debito per l’importo complessivo di € 310.312.
Nell’ambito dell’esecuzione del provvedimento del GIP, sono state effettuate perquisizioni e sequestri a Parma, Reggio Emilia, Salerno, Caserta, Fidenza, Fontevivo e Collecchio, nei confronti dei soggetti economici e delle persone fisiche a vario titolo coinvolte nelle indagini.
All’esito delle attività finora svolte sono stati sequestrati beni immobili (quattro ubicati nel comune di Fidenza e due siti nelle province di Caserta e Salerno), un’autovettura Maserati e disponibilità finanziarie per un totale di oltre € 580,000,00.
Con il presente comunicato si intendono sottolineare, in definitiva, i seguenti aspetti, che denotano la particolare rilevanza pubblica dei fatti:
- in primo luogo, l’ammontare certamente rilevante della frode fiscale posta in essere, che riguarda complessivamente un’imposta evasa superiore a € 100.000,00, con conseguente ingente danno finale per le casse dello Stato, fatto in sé obiettivamente grave;
- in secondo luogo, le condotte criminose contestate non solo costituiscono una frode in danno dell’Erario attraverso il mancato versamento delle imposte, ma alterano profondamente la leale concorrenza tra operatori del settore consentendo alle imprese che appaiono avervi fatto ricorso una maggiore competitività rispetto alle altre imprese che, al contrario, si pongono in maniera più corretta sul mercato;
- in terzo luogo, il diritto dei lavoratori coinvolti di chiedere alle società reali datrici di lavoro di costituire un rapporto di lavoro dipendente, come previsto dall’art. 38 del d.lgs. 81/2015 e/o dall’art. 29, comma 3° bis, del d.lgs. n. 276/2003, stante l’invalidità dell’originario rapporto di somministrazione, secondo l’orientamento della Suprema Corte di Cassazione (ex plurimis, Cass. Pen. Sez. III, 27 gennaio 2022, n. 16038, punto 5, mot. dir. – fattispecie analoga a quella del procedimento di cui al presente comunicato);
- in quarto luogo, l’abuso operato dagli indagati di agevolazioni nate allo scopo di promuovere la trasformazione digitale delle imprese e la formazione del personale, con la conseguente sottrazione di importanti risorse all’economia sana del Paese.
Allo stato, la posizione delle persone indagate si riferisce esclusivamente alla fase delle indagini, fatto salvo il giudizio di merito; peraltro, all’esito dell’esecuzione dei sequestri, ciascuno avrà la possibilità di esporre le proprie ragioni e le proprie difese in risposta alle contestazioni loro mosse.
Procuratore della Repubblica dott. Alfonso D’Avino