“Faccetta nera” fu censurata dal Duce

SMA MODENA
lodi1

01/03/2013

Nicoletta Poidimani, laureata in filosofia, scrittrice e libera ricercatrice, particolarmente attiva sulle tematiche dell’antirazzismo e dell’antisessismo.
La Poidimani ha scritto il libro “Difendere la razza”, un libro che nasce da una ricerca sulla genealogia della mentalità razzista in Italia; un lavoro di tessitura fra la storia dell’impresa coloniale nel Corno d’Africa, i dispositivi dell’immaginario di conquista, le biopolitiche di Mussolini nell’Impero e in territorio nazionale.
L’originalità di questa ricerca consiste nell’evidenziare, anche da un prospettiva di genere, il convergere di diversi piani e codici comunicativi, così come di diverse discipline e saperi, nella costruzione della “razza italiana”.
“Oggi vecchi e sperimentati dispositivi razzisti e de-umanizzanti formatisi in quegli anni si stanno riattivando sulle pelle di donne e uomini migranti e molte parole, proprie dell’ideologia di quell’epoca, si ripresentano nel linguaggio quotidiano, così come torna a riaffacciarsi sempre più prepotentemente una concezione della donna e della famiglia di stampo clerico-fascista. L’auspicio è che questo lavoro possa essere non solo un contributo al contrastato e faticoso evolversi degli studi coloniali, ma anche uno strumento critico per conoscere questa parte della storia italiana e prevenire la ricaduta nell’orrore della barbarie fascista”.

Professoressa, dove traggono origine i suoi studi sulle politiche razziali?
Innanzitutto dal mio impegno nel movimento delle donne che è iniziato prestissimo, quando avevo 14 anni; poi ho studiato filosofia, e al termine degli studi universitari una cosa che mi mancava era proprio una lettura di genere, dopo anni di studi su uomini. Quindi mi sono avvicinata al tema sia dal punto di vista politico-antifascista che teorico.

Fino alle ricerche sul post colonialismo.
Esatto, ad un certo punto ho avuto un’illuminazione rispetto alla letteratura post coloniale di genere come “Faccetta Nera” che in realtà evocava quello che altre donne post colonizzate stavano analizzando ad esempio per quanto riguarda il colonialismo inglese.

E’ così importante la prospettiva di genere?
Sì, la prospettiva di genere è un valore aggiunto perchè permette non solo di guardare da una prospettiva diversa ma di far emergere anche una serie di elementi nuovi per i quali in genere la storia ufficiale dà poco valore, come ad esempio per quanto concerne gli intrecci tra politiche razziali e sessuali, ma che in realtà sono fondamentali perchè è il disciplinamento della produzione e della riproduzione.

Perchè durante il periodo coloniale venivano commessi abusi sessuali anche su giovani donne africane?
L’uso del corpo delle giovani ragazzine africane era un modo per coartare forza lavoro nelle colonie e cercare di fermare il fenomeno dell’emigrazione, quindi poter mantenere i profitti all’interno dello Stato italiano. Inoltre era una forma di controllo, di subordinazione dell’altro. Il portare via la donna al colonizzato è un modo per umiliarlo ulteriormente, per denigrarlo.

Quindi umiliazione anche verso l’uomo, non solo verso la donna.
Sicuramente. Infatti nel periodo coloniale esistevano anche delle cartoline doppie, cioè divise in due, come quella intitolata “visioni abissine” in cui vi erano bellissime donne abissine, e dall’altra soldati etiopici che scappano di fronte agli italiani. Come dire: “Le donne sono belle e noi le conquistiamo e conquistiamo la terra perchè questi uomini non valgono niente”.

Ha scritto di “politiche sessuali ai tempi di Mussolini”, di cosa si tratta in particolare?
Per Mussolini era fondamentale poter controllare la riproduzione, la fertilità delle donne. Quindi le politiche sessuali sono tutte quelle politiche che vanno verso il controllo della fertilità e della possibilità di riprodursi. Nel momento in cui queste politiche – cioè quelle delle madri prolifere – si intrecciano con un discorso di tipo razziale, ovvero di costruzione della purezza della razza, ecco che diventa una tematica politica forte, proprio perchè la disciplina del corpo e della sessualità delle donne assume una valenza in più.

Quale?
Quella di mantenere l’onore della patria o tradire l’onore della patria.

Quindi dalle politiche della riproduzione alle politiche del mantenimento della razza.
Certo, infatti non per nulla nel Codice Rocco (ndr: emanato in epoca fascista) c’è un attacco forte alla contraccezione e anche all’aborto, perchè erano considerati reati contro la stirpe, quindi reati contro la razza.
Mussolini già negli anni ’20 parla dell’orrore dell’Italia “dalle culle vuote”, quindi della necessità di riprodursi. Il numero per Mussolini diventa potenza.

Potenza che però non doveva unirsi con una “faccetta nera”, a dispetto della canzone. E’ vero che fu censurata dal Duce?
Sì, all’indomani della conquista d’Etiopia (ndr: 1936), in maggio viene dichiarato l’impero dell’Africa orientale e incominciano le rigidissime leggi di separazione razziale, le vere e proprie leggi di apartheid. “Faccetta nera” viene considerata un malsano incitamento, perchè una canzone che dice “La legge nostra è schiavitù d’amore” quindi che parla della relazione sessuata tra uomini italiani e faccetta nera, la “moretta schiava tra le schiave”, non ha solo la retorica della liberazione della schiavitù, ma dice anche “sarai romana”, mentre con le politiche razziste non poteva più essere romana perchè era suddita.
Ecco quindi che era necessaria una drastica censura, tanto che fu imposto alla radio di non trasmetterla più.

Ma i fascisti di oggi del terzo millennio secondo lei lo sanno?
I fascisti del terzo millennio mi sembra che la loro storia la conoscano ben poco.
Ogni volta che mi è capitato di dirlo a qualcuno che si dichiara fascista e che sceglie orgogliosamente come suoneria del cellulare la canzone “Faccetta nera” l’ho sempre visto allibito e sorpreso. E allora aggiungo: “Guarda che non lo dico io, ma era il tuo Duce che imponeva la censura”.

PrD