
A seguito del grave episodio di tentata violenza sessuale subito da una studentessa dell’Istituto Bodoni ad opera di un coetaneo di origine africana venuto alla ribalta ieri, la preside dell’istituto ha commentato di essere “allibita” e di attivarsi con gli insegnati per ricostruire “i fatti con l’aiuto delle testimonianze… al più presto prenderemo i provvedimenti necessari, perché fatti del genere non devono capitare mai». Chapeau!
La dirigente, Prof.ssa Luciana Donelli, ha inoltre ricordato le attività di contrasto alla violenza sulle donne portate avanti dall’Istituto Bodoni che negli anni precedenti ha ospitato, tra i vari progetti, anche la testimonianza di Lucia Annibali. Iniziative giuste ed ammirevoli, va sottolineato, ma ci si domanda se l’Istituto sia rimasto davvero un’isola felice.
Forse i docenti del Bodoni non ricevono email minacciose come in molte altre realtà scolastiche Italiane di oggi, magari solo perché hanno, voti negativi alla mano, accennato la possibilità di una bocciatura, o consigliato ad alcuni studenti di impegnarsi maggiormente? Forse non vengono fatti oggetto di intimidazione da parte di allievi o genitori per aver dato magari un 7 invece di un 8 o un 9 a fronte di interrogazioni pietose? No?! Su questo la preside potrebbe rispondere.
E di cosa ci stupiamo poi? Per cosa rimaniamo “allibiti”?! Per un allievo magari “un po’ irruente” definito “soggetto non a rischio” e che forse era già stato segnalato per maltrattamenti a compagni di classe in precedenza? Dov’è la soglia del “rischio” nei 20 minuti in cui la studentessa è stata in balia dell’aggressore senza che nessuno intervenisse, senza che vi fosse nessuno a vigilare? Dopo che ci siamo abituati al permissivismo dilagante, ci stupiamo ancora? Potremmo stupirci effettivamente, ma per altri motivi. Ad esempio la meraviglia sarebbe ammissibile se riferita ai presunti pochi episodi di violenza conosciuta, data la tolleranza eccessiva e una scuola dove gli insegnanti sono invitati a promuovere in massa, invece che a educare in primis i giovani a diventare cittadini responsabili.
Nello smarrimento della preside si legge chiaramente quello di dirigenti scolastici di tutta Italia alle prese con fenomeni analoghi, ormai frequenti in una scuola parcheggio-infermeria-contenitore di malessere sociale, demolita in 20 anni di gestioni di governi di “destra e di sinistra” e abbandonata al capolinea della “riforma” renziana. Di fronte alle politiche stupefacenti della “Buona Squola” che si limita a diplomare tutti per sfornare stuoli di consumatori, inconsapevoli di diritti e doveri, ci auguriamo naturalmente un cambiamento, questo sì.
Dovrebbero invece essere stimati i docenti e tutti i collaboratori scolastici il cui impegno quotidiano, utile e sottopagato, rappresenta una ricchezza per la società intera, una ricchezza troppo spesso svilita e sprecata. Purtroppo la deriva inaccettabile cui siamo arrivati oggi dipende da tanti fattori, che hanno portato la scuola a trasformarsi in falsa categoria d’intrattenimento, svalutata sia nelle sue prospettive professionali che non riesce più a garantire, sia nelle sue prospettive didattiche, fatte di edifici fatiscenti e strumenti didattici inadeguati a garantire un prestigio spesso solo di facciata. Una scuola che si è ridotta a formare generazioni
di disoccupati, che, se non cambiano “le regole del gioco”, troveranno lavoro solo altrove, fuori d’Italia.
La scuola italiana degli ultimi anni è diventata sempre più il riflesso dei disagi della società. Violenza, depressione, aggressività sono all’ordine del giorno, il disordine esterno ha bucato i muri scolastici, la crisi economica ha colpito duramente molte famiglie delle classi sociali meno abbienti, la povertà è in progressivo aumento e la multiculturalità mal gestita dalla cattiva politica sta seminando odi e rancori verso ogni tipo di autorità.
Di fronte a questa situazione insostenibile, sia a livello sociale che a livello scolastico, l’unica regola vincente dovrebbe essere quella di riconoscere e rispettare i diritti e i doveri di tutti, dopo aver compreso però che se non si difendono i docenti, alla fine non si difendono neppure gli allievi.
Alessandro Guardamagna