Il campionato di calcio, il virus e quella voglia matta di riaprire

In un contesto generale dove la maggior parte dei cittadini vivono in una bolla di tempo sospeso tra lockdown e voglia di ricominciare, risulta anacronistico pensare ai bisogni secondari. Lavoratori autonomi e dipendenti fermi da settimane attendono di scoprire quale sarà il loro futuro. Cosa devono fare per fronteggiare alle esigenze principali della propria esistenza? E con meraviglia e stupore sentono che anche il ricco mondo del calcio piange miseria. Il Dio pallone si mostra così piccolo piccolo di fronte a una guerra globale che meriterebbe ben altra attenzione.

A differenza degli altri sport che hanno sospeso i campionati e deciso che la stagione ufficiale è conclusa anticipatamente, il calcio tentenna e offre il solito balletto delle responsabilità.

La Lazio per bocca di Lotito vorrebbe giocare, il Brescia vorrebbe fermarsi.

Questi due estremi portano a pensare male. La Lazio vorrebbe puntare a lottare a uno scudetto che era inimmaginabile ad inizio stagione, il Brescia di contro prova a restare in serie A grazie alle carte bollate. Nel mezzo molte altre posizioni dettate sia da un senso di responsabilità che da altri motivi che portano Juve e Inter, le altre due in lizza per il titolo, in una posizione di attesa così come la Fiorentina. La Sampdoria vorrebbe sospendere così come il Torino. “Prima la salute” è il motto di molti presidenti e di contro altri rivendicano la necessità di tornare al lavoro seguendo le voglie della Fase due richiesta da una fetta importante del Paese.

E il presidente federale? Gravina ha dichiarato che chi vuole lo stop del calcio non vuole il bene del Paese. Insieme al ministro Spadafora – Sport – e al ministro Speranza – Salute – hanno siglato un protocollo che prevede inizio allenamenti a maggio e ritorno in campo a fine mese. Sempre che i casi degli infetti calino drasticamente e sempre che ci si attenga a una serie di verifiche cliniche e tamponi a tappeto. Basterà?

Chi segue la cronaca giornaliera sull’andamento dell’epidemia sa come il virus nonostante la chiusura di molte attività e l’invito di stare a casa non è sconfitto, le cure e il vaccino hanno bisogno di molto tempo prima di potere essere ritenute efficaci. Nell’attesa passeranno mesi, se non un anno, prima che si possa tornare a una sorta di vittoria contro il coronavirus.

Ammettendo che i casi dovessero diminuire drasticamente, cosa succederebbe se un calciatore dovesse ammalarsi? I test sierologici e il tampone hanno comunque un grado di affidabilità non assoluto e il calcio è sport ci contatti, spinte, ammucchiate nelle aree di rigore – altro che assembramenti!

Di contro il pallone è la terza industria italiana, l’indotto è di 4,7 miliardi di euro annuo. Se si pensa alla fase due per altri settori del Paese, pena gravi conseguenze sociali ed economiche di una larga fetta della popolazione, si dovrebbe pensare, senza diventare bastian contrario, ad una riapertura.

Ipotizziamo due scenari più estremi:

Scenario migliore (dal punto di vista mondo-calcio). Calo dei casi a livello nazionale, ritorno delle partite a porte chiuse a fine maggio, fine del campionato e quindi coppe europee. Partite ogni tre giorni. Ad agosto breve stop. Metà settembre ritorno in campo per il campionato 2020-2021 con coda agli Europei. Un anno abbondante di pallone e un lungo periodo di partite a porte chiuse.

Scenario peggiore (sempre dal punto di osservazione del pallone). Stop al campionato. Grandi contestazioni su assegnazione del titolo, delle qualificazioni UEFA, delle retrocessioni e delle promozioni dalla B. Si sta valutando l’ipotesi di aumentare il numero delle squadre a 22 o 24 con ripercussioni al campionato prossimo che dovrebbe iniziare a fine agosto.

Entrambi gli scenari prevedono che il virus molli la presa o che le terapie si rivelino efficaci.

Uno dei grandi errori di questo calcio è quello di avere aumentato il numero dei club in sere A da sedici a diciotto e quindi a venti. Se aumentasse a 22-24 questo creerebbe gravi problemi di calendario e non solo per la stagione prossima quanto, ormai dovrebbe essere problema noto, per incastrare il campionato con le altre competizioni e con le ormai prevedibili partite sospese e rimandate a cui siamo abituati ad ogni stagione. Allagamenti, fenomeni naturali sono sempre più frequenti e non è pensabile costruire un calendario senza possibilità di inserire partite annullate.

La domanda alla quale nessuno sa dare una risposta rimane: cosa farebbe il mondo del calcio se anche solo un giocatore dovesse ammalarsi di Covid-19?

La palla passa ora al Governo e quindi al Governo calcistico sperando che si facciano scelte in linea non con la classifica quanto con gli interessi comuni. Sappiamo già che questa frase andrà annoverata nella casella: utopia. Ma chissà che il coronavirus non possa dare il via a un mondo diverso da quello che abbiamo abitato fino a qualche mese fa. Sono passate solo poche settimane dall’ultima volta che il pallone ha rotolato per i campi. Per gli amanti delle statistiche l’ultima partita di serie A è stata Juve Inter e si è giocata l’8 marzo. Sono passati 42 giorni anche se sembra un secolo.

Alla prossima,

Gianni Bandiera

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