
“Il ritrovamento in un giardino di Vignale di Traversetolo del corpicino di un neonato e successivamente dei resti di un secondo, ha creato sorpresa e sgomento, in un territorio che appare tranquillo ed è dotato dei servizi socio sanitari per seguire la gravidanza e la maternità e in una Nuova Parrocchia vivace, impegnata nella pastorale giovanile e nella Caritas, corredata – tra l’altro – di un supporto psicologico per chi ne abbisogna.
Mentre sulla vicenda gli inquirenti stanno operando con professionalità e delicatezza, vengono alla luce fatti nuovi che hanno suscitato una vasta eco mediatica con commenti e interpretazioni diverse di persone vicine, di giornalisti ed esperti sui fatti e sulla psicologia della madre.
Non è il momento del giudizio o di affrettate conclusioni, ma riteniamo che non ci si possa esimere da riflessioni su quanto è accaduto e di cui si è venuti a conoscenza dagli inquirenti e dai media.
Emerge l’oggettività dei fatti: la morte di questi due neonati parla tragicamente della necessità di maturare la capacità di riconoscere e di assumersi la responsabilità personale verso le grandi vicende dell’esistenza, come è la gestazione, la crescita nel proprio grembo di un essere vivente, tale fin dal concepimento, la cui esistenza è indissolubilmente legata alla madre. La crescita culturale e relazionale della persona deve andare di pari passo con la crescita umana, civica e morale.
Tale responsabilità, sia nella gravidanza che alla nascita, chiede, universalmente, di essere esercitata per le ragioni più profonde di umanità e di un vivo senso di giustizia, cioè di tutela dell’altro, specialmente se fragile e incapace di difendersi, totalmente dipendente dalla cura degli altri.
Il rispetto per chi ha provocato questo gesto, la sospensione del giudizio e l’auspicio per un percorso di coscientizzazione, di espiazione e di recupero, sono parte di quel senso di prossimità e di oblatività che doveva essere offerto, in forma eminente, a quei due piccoli e che non si ferma nemmeno nei confronti di chi non li ha voluti e ha provocato o permesso la loro morte. Così pure richiede di dare un nome agli atti posti in essere, caricandoci, a nostra volta, di altri interrogativi e responsabilità.
La comunità, sia civile che religiosa, come ora è sgomenta, dovrà essere altrettanto pronta a verificare quanto sta in essa per educare e supportare il significato vero della maternità e della vita, come culmine di scelte consapevoli e di autentica relazione tra uomo e donna, nella valutazione di una retta scala di valori.
Siamo pure certi che la comunità – cristiana e civile – saprà riaccogliere e accompagnare chi ha compiuto – e se mai favorito – tali gesti, in vista di un rinnovato percorso di vita.
Questi piccoli, con tanti altri, saltellano dietro al Signore – così immagina il nostro cuore sulla scia del Vangelo – giocando con la palma del loro martirio”.
Enrico Solmi, vescovo di Parma