
Le altre notizie pubblicate oggi
(non più in homepage)
11/07/2010
ParmaDaily intervista al segretario nazionale di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero.
Cosa significa per te essere rivoluzionari?
Significa avere l’obiettivo del socialismo, cioè di una società non basata sui valori di scambio delle merci ma sul valore d’uso e il superamento della forma della merce come regolatore sociale.
Il mio essere anticapitalista è dato dal dove voglio arrivare e da cosa faccio tutti i giorni.
Per me il punto è capire se gli obiettivi vanno a modificare qualitativamente il meccanismo di accumulazione del capitale o se semplicemente lo si alimenta.
Qualche esempio?
Sì. Per me il referendum sull’acqua pubblica è un referendum anticapitalista perché comprime lo spazio del mercato capitalista e allarga la sfera dei valori d’uso dei beni comuni contro quelli di scambio.
Un aumento salariale, invece, non è in sè anticapitalista perché può essere uno strumento che aiuta a fare funzionare meglio il mercato capitalista.
Ma dentro Rifondazione l’interpretazione di “rivoluzione” mi pare abbastanza ampia e variegata…
E’ vero, a riguardo dobbiamo evitare di spaccarci il capello in quattro per romperci la scatole tra di noi.
Noi abbiamo il problema di avere una linea politica chiara che sia contro i poteri forti di questo Paese (banche, Confindustria, Vaticano), che non faccia alleanze di basso profilo e che si ponga la questione contemporaneamente di restringere lo spazio in cui il mercato esercita il suo domino e mettere in discussione i rapporti di potere, cioè lavorare per rompere i meccanismi di gerarchia sociale. Questo è il nodo.
Il nostro problema enorme è quello di avere degli obiettivi intermedi credibili tra il fatto di fare sciopero e il fatto di fare la rivoluzione.
Da questo punto di vista non considero quelle che Togliatti chiamava le “riforme di struttura” una deriva riformista perché penso che il compito di un rivoluzionario sia, tra il nulla e il tutto, quello di permettere alle masse di avere degli obiettivi su cui lottare. Faccio notare che Lenin vinse la rivoluzione con le parole d’ordine “pace” e “terra ai contadini”… non spiegando il Capitale!
Questo approccio ha consentito di fare la rivoluzione.
Non sono d’accordo con chi vede nell’essere rivoluzionari il volere porre sempre il +1, alzare l’asticella ogni volta che ti poni un obiettivo, perchè secondo me non è così.
Che opinione hai del concetto di “decrescita felice”, condiviso in una parte della sinistra italiana?
Considero le proposte che provengono dal movimento per la decrescita in larga parte condivisibili; ritengo sbagliato l’obiettivo della decrescita.
Il nostro obiettivo non è la de-crescita, anche perché altrimenti quest’anno in Italia saremmo andati abbastanza avanti con il socialismo avendo perso il 5% del PIL, ma la modifica del meccanismo di accumulazione. Noi vogliamo “de-mercificare”, non “de-crescere”, non vogliamo mettere la retromarcia e andare indietro, ma svoltare.
Nel libro sull’accumulazione del capitale Rosa Luxemburg scriveva che il capitalismo ha bisogno di colonizzare sempre di più territori da mettere a valore dal punto di vista dell’accumulazione del capitale. Aveva ragione. Il capitalismo estende e intensifica.
In che senso “estende”?
In questi anni la globalizzazione capitalistica ha portato 2-300 milioni in più di salariati… pensiamo alla Cina dove prima il mercato non c’era ma adesso c’è.
50 anni fa il lavoro di riproduzione sociale era demandato al lavoro servile delle donne utilizzando l’ideologia della famiglia. Il capitale ha usato l’emancipazione femminile, sacrosanta, per mercificare delle parti della riproduzione sociale. Gli anziani oggi sono gestiti sovente dal lavoro di altre donne, le badanti, in condizioni di lavoro salariato servile o dal mercato.
Noi invece dobbiamo agire per restringere gli spazi del mercato: acqua pubblica, sanità, saperi, orario di lavoro per limitare la parte di vita che bisogna vendere al padrone per poter vivere.
Noi siamo portatori di un’altra idea in cui non comanda il profitto ma il soddisfacimento dei bisogni delle persone.
Va pertanto costruita una sinistra autonoma da quella subalterna ai poteri forti e ricostruito un conflitto di classe che non sia economicista, cioè che non sia solo sindacale, ma abbia l’idea di modifica il complesso stesso della società.