“In molti casi il lockdown è stato la molla per la donna per andarsene”. INTERVISTA a Samuela Frigeri (Centro Antiviolenza di Parma)

SMA MODENA
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Samuela Frigeri, presidentessa del Centro Antiviolenza di Parma

Il Covid-19 è riuscito a fermare interi Paesi, ma non la violenza sulle donne.

Possiamo solo immaginare quanto la convivenza forzata abbia esasperato la vita già “sul filo” di molte donne.

Donne che da un giorno all’altro hanno perso anche le poche ore di libertà e di sollievo da situazioni terribili e che hanno probabilmente avuto paura di rivolgersi a chi esiste appositamente per aiutarle a trovare le risorse interiori, per risolvere situazioni invivibili per chiunque.

“Abbiamo dovuto fare una campagna per comunicare che il Centro Antiviolenza era attivo perché a inizio marzo ci siamo resi conto che c’era una drastica riduzione delle chiamate – spiega Samuela Frigeri, presidentessa del Centro Antiviolenza di Parma. Le donne non riuscivano più a trovare un momento di libertà per contattarci. E anche confrontandoci con il coordinamento regionale abbiamo capito che la nostra non era una situazione isolata più o meno tutti segnalavano un crollo di oltre il 50% delle telefonate”.

E infatti mettendo a confronto i dati relativi al marzo 2020 con quelli dello stesso mese del 2019, si vede subito un calo delle richieste di aiuto provenienti da donne nuove, che non avevano mai preso prima contatto con un Centro – o che lo avevano fatto diversi anni prima – di circa il cinquanta per centro (-53%). Ma ciò non significa affatto che siano diminuite le violenze in ambito domestico anzi, il contrario.

“Abbiamo dovuto ripensare il servizio e la nostra organizzazione – spiega Frigeri -: ampliare gli orari, diversificare i canali, suggerire dei modi diversi per contattarci e quando farlo: mentre si va a fare la spesa, in farmacia, a portare fuori il cane. Le difficoltà evidenti della convivenza forzata, il fatto di dover autocertifcare le uscite, hanno esasperato situazioni già molto difficili, insomma molte donne si sono sentite intrappolate

Sono aumentate le donne che sono riuscite a lasciare i luoghi della violenza?

“Una valutazione corretta potremo farla fra qualche tempo. Le donne che già erano in contatto con noi hanno vissuto momenti di grande ansia, perché con l’improvvisa chiusura non sapevano più come contattarci, non sapevano cosa avrebbero trovato. Diverse situazioni di violenza poi si sono acutizzate, si sono aggravate, sia per quel che riguarda i maltrattamenti che per le azioni persecutorie. Ma le donne che subiscono violenza hanno una fortissima capacità di adattamento. La donna maltrattata ha sempre di fronte molte incognite, comunque chi era già inserita nel percorso di aiuto ha aumentato le chiamate e noi abbiamo fornito gli strumenti e gli stratagemmi per rendere più frequenti i colloqui. Quindi direi che in qualche caso la situazione ha frenato le uscite, ma in altre è stata la molla per andarsene”.

Guardando ai numeri, anche se il dato di Parma ancora non c’è, vediamo che da un’analisi a campione, fatta sui dati di 4 centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, emerge che in questo mese di marzo, rispetto allo stesso mese del 2019, sono aumentate le richieste di ospitalità, specialmente di quelle in emergenza: sono il 28% delle donne che lo chiedono contro l’11% del 2019. Emerge poi che le donne che hanno chiesto aiuto nel marzo 2020 sono un po’ più giovani, l’età media è di 39 anni, contro i 43 del 2019. Sono più spesso donne senza figli/e: nel marzo del 2019 le nuove vittime di violenza che hanno chiesto aiuto, con figli/e erano il 69%, oggi sono l’82%. Ovviamente gli autori delle violenze sono più spesso che non nel 2019 coniugi e conviventi, 70% contro il 57%. Se allarghiamo lo sguardo e usciamo dall’Emilia-Romagna vediamo che c’è un incremento significativo delle richieste di supporto in tutta Italia, da parte di donne che erano già seguite dai centri antiviolenza e un calo delle prime richieste di aiuto da parte di donne “nuove”, che non avevano mai chiesto aiuto prima.
Dal 2 marzo al 5 aprile, agli 80 centri antiviolenza della rete D.i.Re (associazione Donne in rete contro la violenza) sono stati contattati complessivamente da 2.867 donne, di cui 806 (28%) non si erano mai rivolte prima agli stessi centri (ma nel 2018 erano state il 78%).

L’incremento delle richieste di supporto, rispetto alla media mensile registrata con l’ultimo rilevamento statistico (2018), è stato del 74,5%. 
Cosa chiedete alle istituzioni?

Di supportarci, anche economicamente. In questo periodo abbiamo avuto molti più costi: dai dispositivi di protezione individuale alle spese di attivazione di linee telefoniche supplementari o agli alberghi che abbiamo attivato in emergenza per i percorsi di uscita che ci sono stati segnalati anche da forze dell’ordine o dal pronto soccorso. Devo dire che l’assessore alle Pari Opportunità Barbara Lori ci ha dato una mano stanziando 350.000 euro, pochi giorni fa, per la rete emiliano-romagnola.

Cosa trovano le donne che chiamano il Centro Antiviolenza?

La possibilità di avere un colloquio con “un’operatrice dell’accoglienza” con una frequenza che decide la donna stessa. Sono psicologhe, assistenti sociali, educatrici che hanno una specifica preparazione in questo. L’obiettivo è di fare in modo che le vittime di violenza riescano a trovare in sé le risorse per affrontare un percorso di uscita. Poi naturalmente non è mai mancata in questo periodo la consulenza legale da remoto. In un paio di settimane comunque, saremo in grado di riprendere l’accoglienza al Centro, che stiamo adattando alle nuove esigenze dovute alla necessità di adeguamento alle norme di sicurezza – conclude Frigeri.

Oltre al numero dedicato nazionale (1522) il numero del centro di Parma è lo 0521-238885; e-mail acavpr@libero.it. Trovate il Centro anche su Facebook e Instagram.

Tatiana Cogo