Nel 1436, Niccolò Piccinino, al soldo del Duca di Milano, ordinò che gli si procurassero “porchos viginti a carnibus pro sallamine”, ovvero venti maiali per far salami: è il primo documento relativo al salame rintracciato a Parma. Ma già Benedetto Antelami, nei primi decenni del 1200, scolpiva nel marmo rosa del Battistero di Parma il bassorilievo del ciclo dei mesi che a gennaio raffigura la produzione di salami e salsicce. Non è un caso se già anticamente, Felino era conosciuta come “terra di salami”. Se il Salame di Felino ha ben più di otto secoli di storia, molto più recente è la costituzione del Consorzio di tutela che è nato nel 2011. Nel 2013 è poi arrivato, dopo un iter lungo e complesso, il riconoscimento IGP della Comunità Europea. Alla fine dello scorso anno, il cda del Consorzio ha eletto alla presidenza Umberto Boschi, presidente e CEO della Cav. Umberto Boschi, l’azienda di famiglia fondata nel 1922 dal nonno omonimo, con lui abbiamo fatto il punto sui progetti di sviluppo.
Sono tre i punti principali su cui lavoreremo: la qualità del prodotto, l’aumento della presenza sul mercato nazionale che cercheremo di sviluppare con campagne di marketing e il potenziamento dei controlli, in particolare contro la contraffazione. Ci stanno arrivando segnalazioni dall’estero, cito Australia e Usa, dell’esistenza di prodotti che vengono nominati Salame di Felino, ma del nostro prodotto non hanno niente, a volte nemmeno la forma. Siamo sempre più impegnati con il nostro ufficio legale a contrastare questo fenomeno, è un lavoro impegnativo ed economicamente molto costoso, ma non staremo a guardare non saremo accondiscendenti.
La produzione, che si concentra in poche aziende, solo 14, oggi a che livello è?
Secondo gli ultimi dati disponibili (30 novembre 2019 ndr), la produzione ha raggiunto quota 4,67 milioni di kg di carne lavorata: facendo una proiezione sui 12 mesi, ci si può quindi aspettare un lieve calo nel 2019 rispetto al 2018, che è possibile spiegare alla luce del quadro economico generale. In particolare, su questo risultato ha inciso l’incremento del costo della materia prima. Il comparto, comunque, si conferma in buona salute.
A Parma, da sempre, c’è una tradizione molto diversa rispetto alle altre province. Qui si valorizzano i vari pezzi del maiale: prosciutto, pancetta, coppa. Noi non maciniamo tutto. Il salame di Felino si fa con il trito di banco e nel suino ce ne sono due chili, due e mezzo, quindi molto poco. Il fatto che la produzione non sia enorme è dovuta anche al fatto che le carni sono molto selezionate.
Parlando di tracciabilità da dove viene la materia prima?
La carne deve essere di grande qualità e trattata in modo consono. Non deve aver subito processi di congelamento e deve arrivare da macelli nel raggio, al massimo, di 200-300 km, perché non può rimanere troppo tempo sui camion. Come approvvigionamento seguiamo molto da vicino il Prosciutto di Parma e infatti abbiamo ricalcato le stesse caratteristiche per l’acquisizione dell’Igp. Il Salame di Felino è prodotto con le stesse razze di suini ossia la Large White, Landrance, Duroc. C’è insomma una “barriera di qualità”. Sulla tracciabilità stiamo molto lavorando e, proprio nei giorni scorsi, è arrivata una linea guida da parte del ministero sui piani di controllo della filiera. Uno degli obiettivi è proprio quella di avere dei collegamenti, sempre più stretti, sia con l’allevatore che con chi macella, in modo che ci sia trasparenza totale. Abbiamo bisogno di suini con precise caratteristiche genetiche e poi dobbiamo sapere come viene allevato e nutrito.
Coldiretti ha recentemente chiesto l’etichettatura d’origine sui derivati della carne suina, con la globalizzazione si moltiplicano infatti gli allarmi sanitari, qual è il suo pensiero in proposito?
Come Consorzio di Tutela del Salame Felino IGP siamo favorevoli all’etichettatura d’origine delle carni, come proposta con forza da Coldiretti. Si tratta di una misura di trasparenza a favore del consumatore, che potrebbe quindi compiere scelte di acquisto pienamente consapevoli e a tutela del vero made-in-Italy alimentare, spesso penalizzato da prodotti contraffatti o italian-sounding. Nel nostro caso specifico, i Salami Felino IGP prodotti dagli aderenti al Consorzio, riporterebbero la dicitura “Origine: Italia” e “100% italiano.
Come vanno le esportazioni? Dove è più apprezzato il Salame di Felino Igp?
Nel 2018 l’export era pari al 20% del fatturato. L’area che più apprezza il nostro prodotto è la UE, in particolare Francia e Germania. Vede, il nostro salame ha un gusto molto delicato che per imporsi ha bisogno di trovare un consumatore non alla ricerca di sapori forti e speziati; infatti, l’unica spezia presente è il pepe. Per approcciare i mercati esteri occorrono investimenti molto consistenti che oggi non siamo in grado di sostenere. Quindi le aziende che aderiscono al Consorzio dovranno dare un contributo forte a questa attività, il ruolo del Consorzio è più quello di coordinare e dare idee, non può fare l’alfiere.
Tatiana Cogo