La moda diventerà mai sostenibile?

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Il 6 maggio, nel contesto del Parma Green Week Festival, si sono incontrare Fabiana Giacomotti, curatrice Il Foglio della Moda, e Maxine Bédat, fondatrice della New Standard Institute, per parlare del nuovo libro di quest’ultima, Il lato oscuro della moda (Post edizioni) e di come rendere la moda più sostenibile.

Sono ormai 20 anni che si sanno i danni del fast-fashion, sia per l’ambiente che per la nostra stessa salute, ma la moda fa ancora parte delle imprese più inquinanti del mondo. L’unico vero modo per essere più sostenibili quando si tratta di acquistare nuovi vestiti è comprare meno e meglio, ma soprattutto riutilizzare. Infatti, riciclare i tessuti è un processo molto complesso e costoso, bisogna decolorarli e separare tutte le fibre naturali da quelle plastiche. L’upcycling, che consiste nel riutilizzare i tessuti già esistenti per creare nuovi capi, è un pratica che permette di ridurre in modo molto significativo l’impatto ecologico della produzione di un capo. Da qualche anno, riutilizzare capi vecchi o comprare vintage sono diventati quasi un’abitudine in molti paesi occidentali, come si può vedere con l’esordio di applicazioni come Vinted che permette di vendere i vestiti usati. Ma ciò non basta, perché ancora oggi consideriamo i vestiti come « usa e getta », c’è la necessità di cambiare il nostro modo di pensare e di affrontare la moda.

Le imprese di fast-fashion e super fast-fashion, oltre che essere estremamente nocive per l’ambiente e poco rispettose del diritto di proprietà intellettuale copiando i capi di altri marche, sono anche molto spesso accusate di sfruttare i propri dipendenti. Gli atelier di produzione sono sempre localizzati in paesi in cui la mano d’opera non costa praticamente niente. Diverse marche famose, di cui Nike, Adidas e Shein, sono già state accusate di importare prodotti dalla regione cinese dello Xinjiang, famosa per lo sfruttamento della comunità uigura. Anche se c’è una volontà da parte dei governi di creare delle limitazioni e delle norme da rispettare, spesso queste non sono sufficienti. All’interno dell’Unione Europea è ancora più difficile imporre delle regole sull’importo di tessuti per via delle lobby legate al mondo del lusso, che anche lui si rifornisce nell’est dell’Asia.

C’è quindi sicuramente una necessità da parte dei consumatori di informarsi meglio e di riconsiderare la sua visione della moda ma non solo. Le aziende stesse dovrebbero fare delle scelte più giuste in termini di sostenibilità e i governi dovrebbero saper creare una vera e propria regolamentazione intorno alla produzione di vestiti. Sono soprattutto i giovani, grandi consumatori, che dovrebbero essere meglio educati sull’argomento: secondo un’indagine dell’UE di aprile 2023, il 30% dei giovani tra i 15 e i 24 anni sarebbero disposti a compare delle contraffazioni di grandi marche di lusso. Tuttavia, tutto questo sta lentamente cambiando. Sempre più persone si stanno rendendo conto dei rischi legati al fast-fashion e dell’importanza della qualità dei capi. Si può sperare che questo cambiamento segni la fine dell’era dei vestiti di scarsa qualità a prezzo bassissimo e dell’estremo consumismo.

Anna Montermini

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