Le voci di alcuni bar e gelaterie di Parma: “Non siamo noi gli untori, sembra che lo facciano apposta a metterci in ginocchio. Eravamo partiti così bene con Parma 2020…”

Dopo il DPCM del 24 ottobre le proteste: “Se si deve chiudere per salvaguardare la salute facciamolo, ma poi lo stato non ci può abbandonare. Non vogliamo perdere la dignità, vogliamo lavorare”

Non si placa la protesta dei tanti colpiti dalle misure restrittive contenute nell’ultimo Dpcm, quello siglato dal governo il 24 ottobre.

Già fortemente provati dal lockdown di primavera, i titolari di bar, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, rappresentanti delle associazioni sportive e del mondo culturale sono scesi in piazza ovunque e anche a Parma. Una serata di protesta, pacifica lo sottolineiamo, con migliaia di persone che hanno manifestato al grido di “libertà”.

Cosa sostengono e cosa chiedono gli esercenti? Innanzitutto non capiscono il perché del provvedimento dopo i consistenti investimenti fatti per adeguarsi ai protocolli di sicurezza, dopo aver continuato a pagare affitti, dipendenti, fornitori e tasse. In sostanza chiedono di poter lavorare.
Se la ratio era chiudere la movida forse era il caso di aumentare i controlli mirati per fermare chi non stava rispettando le regole. Questo il pensiero diffuso.

“Eravamo partiti fortissimo a gennaio e febbraio grazie a Parma 2020 Capitale Italiana della Cultura – ci spiga Massimo, barista (dipendente) in un bar ristorante del centro storico cittadino – ma rispetto alla fase pre – covid stiamo facendo il 60% in meno, i turisti non ci sono, le persone hanno paura”.

“Tra bar e ristorante eravamo più di venti, oggi la metà è in cassa integrazione e i dipendenti a tempo determinato, non sono stati confermati – prosegue -. Abbiamo seguito tutte le prescrizioni, acquistato dpi, ridotto i coperti, distanziato i tavoli, ci hanno fatto tanti controlli, ma non abbiamo mai preso una sanzione, perché il rispetto delle regole c’è stato pienamente”.

E circa il recente provvedimento dice: “Io non sono contrario, nel senso che se le autorità dicono che è necessario per salvaguardare la salute di tutti si fa. Il punto è che lo stato non ti può abbandonare, lo stato deve essere presente. Ho dei colleghi che ancora stanno aspettando la cassa integrazione di aprile. I miei titolari hanno fatto tanti investimenti, speso soldi, pagato le bollette che non aspettano. Io ho avuto un bar e so cosa vuol dire. Penso in particolare ai più piccoli: se le cose continuano così, faranno fatica. Credo che in tanti non riapriranno. Ci sono cose che francamente fanno molto arrabbiare: qui sono tutti seduti e rispettano le regole, poi giri l’angolo e ci sono i ragazzi ammassati alle fermate dell’autobus. Non capisco il senso”.

Ma i clienti come si comportano? “In generale molto bene, poi c’è ancora chi non ha capito la situazione: per esempio tre giorni fa una ragazza ci ha chiesto di poter fare la festa di laurea, con 40 ospiti. Era molto stupita quando le spiegavo che non era proprio possibile”.

Fondamentalmente, con l’ultimo Dpcm si bloccano anche le trasferte di lavoro, oltre che il turismo, perché diventa quasi impossibile cenare, dato che pochi hotel hanno il ristorante al proprio interno e tanto meno lo hanno le strutture più piccole o i bed and breakfast. E questa è un’altra contraddizione, alla quale si aggiunge quella legata al fatto che anche le pasticcerie e le gelaterie debbano chiudere alle 18, quando invece nella grande distribuzione e nei centri commerciali gelati e dolciumi si possono continuare a vendere fino a chiusura, creando chiaramente concorrenza sleale.

Molto amareggiata è Anna, co-titolare di una nota gelateria artigianale nel quartiere San Leonardo. “Siamo aperti dal 1984, da 36 anni. Ne abbiamo viste tante, ma come questa mai. Continueremo con l’asporto e con le consegne a domicilio. Cosa che ci ha salvato anche in primavera. Siamo andate avanti grazie al passaparola e la solidarietà di clienti storici, amici, parenti. Abbiamo fatto consegne anche fuori città e la cosa più bella era vedere l’accoglienza e il sorriso delle persone quando portavamo i nostri prodotti”.

“Sinceramente non capisco perché i centri commerciali possono continuare a vendere questi prodotti e noi dobbiamo chiudere alle 18 – ci spiega. Abbiamo rispettato tutte le regole per garantire la sicurezza, speso soldi, a cosa è servito? Non siamo noi “gli untori”, sembra che lo facciano apposta per metterci in ginocchio. Ma noi vogliamo lavorare, chiediamo solo questo, non vogliamo perdere la nostra dignità, perché le bollette le dobbiamo pagare e abbiamo delle famiglie. Abbiamo perso tutto il lavoro di Pasqua, non ci sono state cerimonie, cresime, comunioni, matrimoni, compleanni e ora questo…”.

Il governo ha assicurato che ci saranno “ristori”, lei cosa si aspetta? “Le dico solo che ad aprile non abbiamo avuto diritto a niente perché il fatturato era del 27,5% in meno e non del 33% rispetto all’aprile del 2019, quindi non mi aspetto grandi cose. La salute è la cosa più importante ovviamente e con questo provvedimento magari si ammalerà meno gente, ma comunque molti senza lavoro non sopravviveranno”.

Il clima di disagio e tensione sembra essere inevitabile e non potrà che aumentare, se non arriveranno presto gli aiuti promessi.

Tatiana Cogo

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