
25/08/2009
h.13.10
Pubblichiamo la lettera aperta che la senatrice Albertina Soliani ha inviato al Sindaco di Parma e al Presidente della Provincia dopo la sua visita nel carcere di via Burla, il 14 agosto.
Parma, 24 agosto 2009
Al Signor Sindaco del Comune di PARMA
Al Signor Presidente della Provincia di PARMA
Caro Sindaco, Caro Presidente,
la vigilia di ferragosto ho visitato il carcere della nostra città nell’ambito della iniziativa nazionale promossa dai radicali, alla quale hanno aderito parlamentari e consiglieri regionali di tutti i gruppi politici.
Ho avuto conferma dei dati strutturali che già conoscevo: la complessità del carcere e la sua rilevanza sul piano regionale con la diversificazione dei reparti, compresi i detenuti di alta sicurezza e in regime di 41 bis e la sezione dei paraplegici, la carenza di agenti della polizia penitenziaria (meno 176 rispetto all’organico), la mancanza degli educatori (meno 7), i tagli sulle risorse finanziarie anche per gli interventi di manutenzione ordinaria, per il pagamento degli straordinari e perfino della benzina dei mezzi. La riduzione del numero degli agenti non può che influire negativamente sulla qualità dell’orga-nizzazione interna del carcere.
Per quanto riguarda il sovraffollamento, la situazione non è preoccupante come altrove, essendo dodici in più i detenuti rispetto alla capienza regolamentare, così che essi possono vivere in due per cella.
Su questi aspetti interrogherò il Governo, insieme con altri parlamentari del territorio, affinché siano risolti i problemi cronici che incidono pesantemente sulla condizione umana dei detenuti e degli operatori del nostro carcere. Ricordo che nel 2009 è avvenuto un suicidio.
Mi rivolgo tuttavia anche a Voi, che rappresentate la città e il territorio, con questa lettera aperta poiché penso che vi siano aspetti della vita del carcere di via Burla che possono essere migliorati grazie all’intervento delle istituzioni locali, delle organizzazioni economiche, sociali, culturali e del volontariato.
Gli interventi di carattere sanitario sono a carico dell’ASL: il loro potenziamento sia all’interno sia all’esterno del carcere è quanto mai auspicabile.
I corsi scolastici, sia di prima alfabetizzazione, sia di scuola media inferiore e superiore, sono uno strumento molto importante per la vita dei detenuti: occorre renderli fruibili da molti con spazi e strumenti adeguati. Si tenga presente che molti detenuti sono stranieri. Non mi risulta vi sia una convenzione con l’Università.
L’attività lavorativa dei detenuti è assai limitata. Solo 7 su 472 usufruiscono della semi-libertà alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Penso che il tessuto economico del nostro territorio consenta, pur tenendo conto della crisi, uno sforzo maggiore in questo senso.
Gli spazi riservati ai colloqui con i familiari sono limitati ed inadeguati, così come la piccola stanza con qualche gioco riservata ai bambini mentre lo spazio esterno attrezzato per loro è privo di alberi e coperto dall’erba alta. La città non può consentire questa povertà e questo abbandono.
Non vi sono adeguati spazi e attrezzature per l’attività fisica dei detenuti. Qualche rara iniziativa in atto di carattere culturale induce a ritenere che molto di più potrebbe essere fatto.
Segnalo questi aspetti perché ritengo che solo l’iniziativa esterna del territorio possa rendere migliore la vita della comunità penitenziaria, nel contesto delle norme previste per l’espiazione della pena.
Nello stesso tempo credo che dovrebbero essere adottate sul piano nazionale politiche che facilitino, ove possibile, le esperienze alternative alla pena carceraria, che diano celerità ai processi e certezza alla pena diminuendo il numero dei detenuti, e sono molti, in attesa di giudizio. Così come penso che sarebbe utile adottare politiche di prevenzione e di integrazione, poiché i problemi acuti della società non possono essere risolti solo con il ricorso alla carcerazione.
Per quanto riguarda il rapporto del nostro territorio con il carcere, vi sono iniziative avviate da tempo. Penso a quelle della Provincia sul lavoro e sullo sport, del Comune particolarmente attraverso l’Agenzia per la famiglia, del Teatro Europa e del Teatro Regio. Un ruolo fondamentale è svolto dal volontariato, che andrebbe ulteriormente sostenuto e ascoltato. Gli interventi per facilitare il lavoro, soprattutto, eviterebbero che la vita dei detenuti rimanesse esposta per giorni, mesi e anni all’inattività e all’ozio.
Sono convinta che non possiamo accontentarci di quello che esiste ma che dobbiamo compiere una svolta coinvolgendo di più e sistematicamente le grandi energie economiche, sociali e culturali del territorio. Sarebbe importante una iniziativa pubblica, un momento di analisi, programmazione e condivisione degli interventi coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Il Comune e la Provincia di Parma potrebbero essere i capofila di questo impegno.
Il carcere è fuori della città ma non può essere estraneo ad essa. Un tempo il carcere di San Francesco era nel cuore anche fisico di Parma. Certamente era nel suo cuore di carne. Le barriere di un carcere moderno non possono recidere i rapporti sociali, rendendolo quasi invisibile.
Non meno rilevante è il rapporto del corpo di polizia penitenziaria con la città. Vi sono attività culturali e sportive che già lo coinvolgono ma si può fare di più. Vi è il problema dell’accoglienza degli agenti e delle loro famiglie anche attraverso l’accesso alla casa. L’impegno degli operato-ri, svolto in condizioni assai difficili, merita la vicinanza dell’intera città. Così come l’attività della Scuola di polizia penitenziaria che ha sede alla Certosa, un possibile punto di eccellenza dell’amministrazione penitenziaria.
Di questi aspetti e di altri ancora si può parlare in-sieme in una iniziativa pubblica che coinvolga la città. Non sarebbe la prima vol-ta che accade: negli anni ottanta Parma promosse un innovativo convegno dal ti-tolo “Liberarsi dalla necessità del carcere”, che la città ancora oggi ricorda.
Ho costantemente presente l’art. 27 della Costituzione secondo il quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Siamo ancora lontani da questo traguardo. Anche a Parma.
Ciascuno secondo le proprie competenze, e tutti insieme, possiamo fare di più. Resto convinta che una condizione carceraria migliore renda migliori le persone e prepari una società più sicura.
Vi ringrazio dell’attenzione e Vi saluto con la più viva cordialità.