23/02/2009
h.13.00
All’imprevedibile ed irresistibile trio di storici attori quali Roberto Abbati, Giancarlo Ilari e Tania Rocchetta, e al poetico punto di vista della regista Nicoletta Rovello, è affidata la messa in scena di uno dei più rocamboleschi e divertenti atti unici del maestro russo Anton Cechov, “La Domanda di Matrimonio”, ultima produzione di Fondazione Teatro Due (luci di Luca Bronzo e costumi di Gianluca Falaschi), in scena a Teatro Due di Parma dal 23 febbraio al 15 marzo 2009 alle 21.00.
Definito dallo stesso autore un vaudeville o uno “scherzo” teatrale, cioè una commedia comica dal ritmo vorticoso e dalla comicità irresistibile, La domanda di matrimonio racconta gli esilaranti tentativi di un proprietario terriero di combinare il matrimonio tra la propria figlia e il padrone della tenuta vicina. Tra equivoci, litigi, svenimenti, terreni contesi e cani da caccia, è tutto un andirivieni di proposte, annullamenti e ripensamenti. Come coronamento di un crescendo di paradossi, i due si fidanzeranno, ma chissà quale vita coniugale li attenderà.
Con leggera ironia l’autore posa uno sguardo benevolo sui personaggi e sulle loro debolezze, sulla cocciutaggine, l’ottusità, l’ipocondria e l’opportunismo che in fondo appartengono a tutti.
Per Cechov “comico” è ciò che fa piangere, – afferma la regista Nicoletta Robello – perciò una definizione si trasforma nel suo apparente contrario; Cechov descrive e ama un mondo al contrario, dominato dal paradosso. Ed ecco che una questione stilistica diventa questione di sostanza, come sempre. Qui le cose si trasformano nell’apparente contrario come nella parabola evangelica delle Nozze di Cana, l’acqua si trasforma in vino.
La domanda di matrimonio è interamente percorsa dal malessere di Lomov, il futuro fidanzato, che si placa solo con il gesto del bere l’acqua. Nel testo ben sette volte si avvicina alla caraffa, cerca l’acqua, la chiede, la beve; acqua che, alla fine, quando in modo pirotecnico vengono ricomposte le vicissitudini e i contrasti fra i personaggi, si trasforma in vino. Non in un vino qualsiasi…bensì in Champagne! Questo passaggio è molto interessante, non per la parabola biblica in sè, ma perché evidentemente Cechov si divertiva a lavorare sul principio della trasformazione, sia dell’acqua in vino, esplicitamente presente nel testo, che la trasformazione dei personaggi in ciò che non sono. Essi infatti nell’arco della narrazione diventano qualcosa di opposto rispetto a ciò da cui sono partiti, in un gioco teatrale semplice, straordinario e sempre efficace.
La messa in scena di Nicoletta Robello tratta gli accadimenti paradossali come se fossero reali, rallentando al massimo la frenesia della narrazione e cercando il comico nella staticità.
Dato che l’opposto di un’agitazione cercata – prosegue la Robello – è la calma cercata, ho immaginato un’ambientazione scenica paradossale tale da favorire la staticità andando contro il comico inteso come ritmo. Gli attori, in una situazione fatta da una serie ininterrotta di eventi paradossali e contraddittori in cui tutti capiscono esattamente l’opposto di ciò che l’altro sta dicendo generando equivoci straordinari, inclusa una morte e una resurrezione, dovranno cercare la calma nel contesto di un giardino Zen. Qui, nell’astrazione di un giardino lungo e stretto, le azioni dei personaggi sono obbligate in uno spazio che favorisce la frontalità rispetto al pubblico e quindi anche l’astrazione. Visto che il comico che cerco non è nella recitazione, ma in un paesaggio paradossale, cerco così di incoraggiare il disegno formale mandandolo verso un eccesso.