“L’amore dura tre anni”

SMA MODENA
lodi1

28/06/2012

Marc Marronnier ha trent’anni, una moglie e due lavori. Critico letterario di giorno e cronista mondano di notte, divorzia dopo tre anni per un sms di troppo. Se la moglie gli preferisce uno scrittore di successo, Marc vuole Alice, avvenente moglie del cugino incontrata al funerale della nonna. Conquistata da Marc sulle note e con le note di Michel Legrand, Alice prova a resistere al corteggiamento dell’uomo che disperato tenta il suicidio e poi scrive un pamphlet sulla caducità dell’amore.
Scalate le classifiche dei libri e il cuore di Alice, Marc all’improvviso è il più letto, il più venduto, il più amato. Pubblicato con uno pseudonimo, “L’amore dura tre anni” è inviso ad Alice che non lo ha mai finito, che disprezza l’immaturità del suo autore, che ignora l’identità dell’autore. Identità rivelata presto alla consegna di un prestigioso premio letterario. La rivelazione precipiterà la loro relazione. A Marc la responsabilità di recuperarla e di viverla ‘per sempre’ felice e contento.
Critico letterario, scrittore, pubblicitario, editore, Frédéric Beigbeder debutta al cinema e aggiunge al suo mestiere e ai suoi mestieri quello del regista. Adattando per lo schermo uno di suoi romanzi più celebri, “L’amore dura tre anni”, l’autore francese realizza una sophisticated comedy che in diversi momenti rievoca (intenzionalmente) lo splendore del tocco truffautiano e del non meno celebre Lubitsch’s touch.
Se del primo rifà il racconto della vita alla maniera di Antoine Doinel (Il ciclo Doinel) e delle donne alla maniera di Bertrand Morane (L’uomo che amava le donne), del secondo rispolvera la vena caustica, ludica e fanciullesca.
Al centro del film omonimo c’è l’alchimia dei rapporti tra le due incognite incarnate da un uomo e una donna. L’orizzonte speculativo di Marc Marronnier è incentrato allora su basi affettive e relazionali, per il protagonista l’amore, al di là della resistenza e nonostante la fugacità, è la causa prima, il principio fondamentale, il bisogno inappagato che muove il mondo e lo innamora come una canzone di Legrand.
Perché il libro pubblicato da Marronnier è soltanto una boutade che fa il paio con il cinismo degli infedeli di Jean Dujardin e Gilles Lellouche, a contare è piuttosto la parola, detta, scritta, ‘telefonata’, cantata, letta, recitata, che si rivela per il regista il luogo di un’invenzione creativa, dove prende forma e si realizza un desiderio.
Beigbeder dimostra familiarità e versatilità rispetto alla parola, un mondo che abita e manipola trovando sviluppi esplosivi, rimandi intertestuali letterari, cinematografici e musicali. L’autore ci parla di una forma letteraria (il romanzo autobiografico) e poi la mette in scena, ci dice ancora del processo che trasforma un’idea in un prodotto cartaceo, immagini mentali che diventano parole e parole scritte che diventano cinema. Eppure in questo universo così compatto e autoreferenziale, insediato da un protagonista al servizio della finzione, è la realtà, figurata dalla bella Alice, a insinuarsi tra le pieghe della storia, è la vita reale a imprimere le svolte decisive al racconto. L’amore di Marc per Alice diventa sempre più evidente e impone al protagonista di cambiare piani esistenziali e teoremi sentimentali.
L’amore dura tre anni rivela l’ecletticità di affabulatore onnivoro del suo autore, che combina dosi e qualità delle arti fino a pervenire a un proprio stile. Fingendo di rovesciare il romanticismo sentimentale, il film apre su una sintesi fatale intorno ai banali inferni di una mediocre vita coniugale, Beigbeder introduce un nuovo amore, un lieto fine e sposta più in là la scadenza temporale.
Accendono e consumano la passione Louise Bourgoin e Gaspard Proust, di smagliante bellezza lei, di irresistibile instabilità lui, prossimo nei tratti e nelle ossessioni al Doinel di Jean-Pierre Léaud. Come lui abbandonerà il domicile conjugal, come lui verrà abbandonato da una femme letale che legge Philip Roth ma sposa Marc Levy.
 

(Si ringrazia Mymovies.it per la collaborazione)
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